29 maggio 2013

Come quando

Come quando lei che è sempre stata brutta per tutto il film, arriva la sera del ballo ed è bellissima e scende dalla scala, e c'è quel rumore lì, quel rumore piccolo dello stupore, degli occhi che si sgranano, le bocche che respirano quell'h che non ha suono ma c'è dentro tutto, ed è incredibile, ed è proprio bella e quella discesa dalla scala è uno di quei momenti che.

Come quando un intero cantiere edile si ferma per guardarti parcheggiare a S in un posto stretto, e la manovra ti riesce come mai nella vita, due sterzate e dentro, senza aggiustare, che non ci credi neanche tu figurarsi loro, che scendi e hai voglia di fare il gesto dell'ombrello ma toglierebbe troppo stile alla tua impresa, quindi ti limiti a sorridere come se fosse normale amministrazione, come se quello fosse il tuo modo abituale di parcheggiare, tu che di solito fai fuori un pieno in manovre di aggiustamento che di rifare tutto daccapo non se ne parla neanche.

Come quando hai la fortuna di sapere da prima che quello che stai per dare è un bacio d'addio, non capita mai.

Come quando nessuno ti difende e tu non ne sei mai stata capace, di difenderti, quindi perché aspettarselo dagli altri, allora niente, visto che non sai pianificare una vittoria punti a una personale strategia di cedimento, in cui senti sì tutto il male ma decidi tu quali parti di te esporre per prime ai colpi, e man mano cascano giù resti sempre più esposta, più vulnerabile, più devastata ma incredibilmente anche più vera, ti cascano i pezzi dappertutto e man mano cascano diventi più tu.

Come quando - rarità - sai dire proprio le parole giuste al momento giusto che sembra che te le abbia scritte il miglior sceneggiatore del mondo, che in quelle parole c'è dentro tutto, l'alzata di spalle, il sopracciglio alzato, il tono-colore-intenzione che non ti riuscirà mai più dal vivo, di fronte a un'altra persona, ma continuerai a provarci nei tuoi dialoghi immaginari ad alta voce, consapevole che dovresti scrivertele certe frasi se scriverle non significasse ammettere già una forma di follia, che nessuno si scrive le battute da dire nella vita reale, dai, quindi non le scrivi, e sai che così bene non ti usciranno mai più o quasi.

Come quando ti guardi allo specchio e non cambieresti niente. Una volta dev'essere successo, ma non lo ricordo.

Come quando per carattere diresti no a qualunque cosa ti scuota dalla routine che sai gestire, ma una parte di te si oppone e ti fa dire sì e non lo sai neanche quale parte di te ha risposto, chi diavolo è stato, mica io, no, e invece hai detto sì, con quella parte di te che neanche sapevi di avere, chi l'ha messa qui quella parte di te, boh, forse la vita, e quindi hai detto sì, e hai affrontato le conseguenze di quel sì con tutte le paure con cui ormai parli e balli in libertà, ma hai detto sì e hai avuto un'occasione, poco importa se l'hai affrontata con paura, esiste forse un altro modo di fare le cose?, forse ma non per te, quindi hai preso la tua bella occasione e hai fatto quello che c'era da fare e quanto sei stata contenta dopo.

"Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi".

Come quando il tempismo è tutto, che sia un'entrata o un'uscita di scena, che a noi il cinema ci ha condizionato troppo e ora ci aspetteremmo Baz Luhrman a dirigerci mentre ce ne andiamo sbattendo la porta, e sappiamo anche immaginare la musica che vorremmo in sottofondo a quella scena, e ancora meglio quella che vorremmo in un ritorno di quelli che proprio nessuno più ci sperava e invece torni e tutti hanno gli occhi con le lacrime che si formano dentro, quelle stronze, e non sanno se ridere o piangere, e quando ti riesce una cosa così, che momento.

Come quando ti assumi la responsabilità di altre vite oltre la tua.

Come quando gridi fuori tutte le parole trattenute e ti escono con una voce che non sembra neanche la tua, sembra pescata da un punto più basso, e le tiri fuori tutte, come se ti liberassi di budella che non ti servivano, di sangue raggrumato che cosa te ne fai, e le dici proprio in quel modo lì, senza educazione, senza zucchero, senza scorciatoie o mezzucci per renderle forse sì meno forti ma anche meno vere, e allora no le dici proprio così come sono, così come fanno male, così come ti picchiano dentro che non ce la fai più e le devi per forza urlare.

Come quando puoi mettere il nome su una cosa che hai fatto, che tutti ne prendono le distanze fino a quando qualcuno di forte non ne istituzionalizza il senso, e allora quegli stessi che ne prendevano le distanze improvvisamente ci tengono a dirti che loro avevano sempre creduto in te, anzi, che ti hanno inventato loro, come se quel tuo successo fosse in multiproprietà, e tu hai la quota di utilizzo tipo in gennaio alle due di mattina, e non sai come dirglielo e spesso non puoi proprio farlo che no, non è loro, è tuo e vorresti ricordare loro tutte le volte che ti hanno preso in giro per quella stessa cosa che adesso qualcuno di forte ha detto "bella". Te lo sai far bastare l'orgoglio di sapere che ora è bella per tutti, e non solo per te? Se ci riesci complimenti.

Come quando ad azione-entusiasmo-energia investita corrisponde altrettanto risultato, quasi mai, ma quando capita, oh, il colore che prevale è il rosso e ti sembra che il mondo suoni l'inno alla gioia di Beethoven che, cazzo, trovamelo tu un altro pezzo che ti faccia venire così voglia di andare in giro a correre nel sole e saltare che ce l'ho fatta! ce l'ho fatta! come quel pezzo lì, no non c'è un altro pezzo così, ma questa è un'altra storia.

Ci sono dei momenti perfetti, nel bene e nel male, dal colore tondo e preciso senza ombre e sfumature, sì, ci sono, sono rari ma ci sono, e dio che belli che sono.

21 maggio 2013

Allstar gialle

E c'è da andare no? Che non è che puoi stare lì tanto a guardarti i piedi, devi andare, come quando ti hanno messa su quell'aereo per l'Inghilterra che ci dovevi stare un mese e mezzo e tu per come sei fatta quel mese l'avresti passato all'aeroporto a guardarti le allstar gialle, bloccata dall'indecisione, dalle paure, dai se e i ma, che quanti diavolo sono i se e i ma che ti possono venire in mente mentre ti guardi le allstar gialle in aeroporto?, tantissimi, e invece no, qualcuno ti ha detto il numero del gate e sei andata, con quella tua carta d'imbarco, il tuo inglese stentato, i genitori preoccupati di lasciarti andare, e tu con lo zainetto pieno della sola smemoranda d'ordinanza hai preso non il coraggio ma te stessa a due mani e sei salita su quell'aereo e sei andata.
C'è da andare, c'è da fare, valigie-sogni-lavatrici-pensieri-retropensieri di quelli che nascono e non sai neanche da dove, perché intanto stai andando, stai camminando, e il tuo sguardo è catturato da tante altre cose e colori, e quindi quel retropensiero, quello lì che ti si era appena formato, neanche l'hai afferrato ed è andato via, che vuoi farci se c'è da andare c'è da andare, quindi vai, lascialo quel retropensiero, tornerà forse, o forse no, ne arriverà un altro e ti sfuggirà anch'esso, ma fa niente, perché intanto ti sarai mossa e già in quell'andare sarai diversa.
Quindi si va, si fanno cose, si guardano occhi, si respira vento-pensieri-profumi-nuvole, e ci si perde anche, ci si perde molto, che non sei più capace di fare un pensiero circolare, più che cerchi tu fai virgole, svolazzi, spirali, puntini di sospensione, ma mica tanti, perché mica ti puoi fermare e allora continui a muoverti, sperando che la strada ti si chiarisca mentre la fai, mentre vai, mentre fai, mentre sei, mentre dici, mentre soprattutto non dici, e quanto ti mancano quelle allstar gialle e la possibilità di starle a guardare, che in fondo allora andare era comunque una scelta cui volendo potevi opporti, e invece ora no, ora devi andare e vai, le allstar gialle un lontano ricordo, non hai neanche più una smemoranda da riempire, perché i giorni sono così pieni e densi, anche quando sono fatti di tempo vuoto, che non sapresti più scrivere una frase col pennarello profumato neanche se te la dettassero lentamente.
Non c'è tempo per stare lì a pensare, nessuno ti ha dato l'orario definitivo di questo tempo, e guai ad aspettarsi che tutto si incastri alla perfezione, non succede mai, c'è tutto del disordine intorno e dentro e quindi che vuoi farci, niente, puoi trovare un modo per non guardarlo, meglio ancora se trovi un modo per muovertici dentro, e allora capisci che il solo modo che hai per stare in mezzo a quel disordine è ballarci sopra, ballarci insieme, sperando che il ritmo che hai scelto calzi su tutto, altrimenti il disordine aumenta e tu col disordine aumentato non lo sai mica se sai ballarci, ma sai che ci proverai comunque perché questa volta non hai scelta.

Ti mancheranno sempre le allstar gialle da guardare.
Ti mancherà soprattutto la possibilità di fermarsi a farlo.

Ma ti muovi cammini, balli. E ti rendi conto che sai farlo anche scalza, anche senza fissarti la punta delle dita, che nel movimento c'è già dentro se non la destinazione almeno l'intenzione e la tua forza è quella, l'intenzione, lo spirito, il tono, lo sguardo che appoggi sulle cose, siano esse un cielo, due occhi, tre persone o quelle allstar gialle che non riesci più a ritrovare.

7 maggio 2013

È solo che

È solo che scrivere manca. Soprattutto quando scrivere è lo sport che ti riesce bene e ci possono essere i momenti di stanchezza, e no non ho più voglia, ora sto sul divano a guardare la tivù e basta, ma se è quella cosa che ti piace fare e che ti riesce bene ne sentirai il richiamo anche mentre stai sul divano a guardare la tivù.
E non è cambiato niente, valgono tutti i discorsi già fatti dello sguardo sulle cose, e il filtro, e l'impoverimento che ne deriva. Quello vale per quanto riguarda le "mie" cose, quelle che non sono scrivibili, condivisibili, quelle che vanno protette, come i colori che se li stendi al sole finisce che ti sbiadiscono sotto gli occhi.
Ma qui, sotto l'ultimo post di commiato, una persona mi ha scritto che "scrivere non significa scriversi". E io questo concetto l'ho afferrato. Che poi lo sappia mettere in pratica è un altro paio di maniche ma capirlo - capirlo bene - mi sembra già un buon inizio.
E poi ho ricevuto una lettera bellissima in cui mi si spiegava bene e in stampatello alcune cose molto preziose su di me, partendo dal presupposto di una conoscenza che è nata qui, tra queste righe e non di più, e io mi sono sentita una bambina al primo banco con gli occhioni sgranati e la penna in mano ad annuire e prendere appunti, ché quando mi spiegano le cose con calma io tendenzialmente le capisco sempre. Perché se da queste righe qualcuno è riuscito a capirmi così tanto, boh, allora forse vale la pena di rivalutare l'abbandono. O forse no. Non lo so.
La sensazione del ritornare è un po' come quella di un ennesimo fallimento, ché io in realtà volevo scrivere lontano da qui, ma quel destino grandioso che io mi aspetto per me non sembra voler arrivare, soprattutto se per raggiungerlo io non alzo un dito, e quindi no -  ve lo dico, prendete appunti - il destino non vi viene a prendere sul divano mentre guardate la tivù, bisogna provare-lavorare-faticare, altre cose che per farmele capire me le devono spiegare con calma.
Quindi sì, un po' mi sento come quando si fa il primo passo dopo un litigio in cui ci siamo giurate "te lo scordi proprio che mi muovo dalla mia posizione, io il primo passo non lo farò mai" e poi invece lo facciamo eccome, ma con quell'amaro in bocca lì, con quella sensazione di orgoglio ferito.
Se non fosse che io non ho litigato col mio blog e lui non mi ha chiesto "cos'hai?" e io risposto "niente" e lui non me l'ha più chiesto. Quindi forse non c'è motivo di impuntarsi così sull'orgoglio ferito e bla bla bla.

Io scrivo.
Non di me, ma di quel che vedo. Che poi è ovvio che ci sono dentro io lo stesso, sono i miei occhi quelli che guardano e le mie mani quelle che digitano, però non si parlerà del mio ombelico. Non sempre. Anzi mai. Almeno credo.
Insomma è tutto chiaro, no?
Bè, se è tutto chiaro per voi spiegatemelo, perché io non ho capito molto bene. Ma se le cose me le spiegate con calma io tendenzialmente le capisco sempre.
Scrivere è bello.
Torno a scrivere qui. Credo.