25 giugno 2013

Pietro

Io mi chiamo Pietro e ho quattro anni. La mia mamma dice che sono un bambino bravo ma un po’ brigante perché disturbo sempre mia sorella che però si chiama Gaia. Gaia vuol dire felice, e io questa cosa qui che lei si chiama come una persona felice e io come un sasso non l’ho capita ancora tanto bene e comunque la trovo ingiusta.
Io per me volevo chiamarmi Peter Parker perché almeno poi diventavo l’uomo ragno e potevo fare dei dispetti bellissimi a Gaia con le ragnatele, che le ragnatele poi io le sparavo dai polsi.
Gaia ha quindici anni e un’amica che si chiama Nina. Anche io ho gli amici, ma pochi, perché poi loro vogliono i miei giochi e io non voglio essere loro amico se poi gli devo prestare i giochi ma la mia mamma dice sempre che bisogna essere generosi, ma io non voglio essere generoso, io voglio essere solo Peter Parker.
“A me mi” non si dice, si dice a me piace quindi io volevo dire che mia sorella Gaia a me piace molto ma non glielo dico, io a lei gli dico che è brutta e con quei capelli mi sembra una strega, ma in realtà a me piace davvero perché è bella soprattutto quando ride, che la mamma dice che la risata di Gaia è bella perché viene dalla pancia, e io penso capirai che ci vuole, anche io vengo dalla pancia e nessuno mi dice che sono bello per questa cosa della pancia, ma la mamma dice che le risate che vengono dalla pancia sono quelle che poi finisce che ridi anche tu, che sembrano come le foglie sollevate da un treno in corsa, ma io ci sono andato alla stazione a vedere i treni e non ce n’erano di foglie sollevate, quindi non ho capito com'è quella risata lì, ma è vero che quando Gaia ride finisce che ridiamo tutti. E in questi giorni ride spesso. La mia mamma dice che è in un periodo così, lei dice che è un periodo di leggera baruffa, la mamma sa un sacco di parole e io per me spero che poi le imparo anche io tante parole come la mamma, perché al momento non lo so proprio cosa vuol dire leggera baruffa, penso solo che Gaia è felice, non solo nel nome anche nei pomeriggi che passa con la sua amica Nina in cameretta con la musica alta che io le sento ballare e quando entro e loro poi mi vedono Gaia si arrabbia e mi manda via sbattendo la porta, ma tanto io le ho viste che ballavano tutte strane e tiravano su le magliette per scoprirsi l'ombelico e facevano le facce con la boccuccia di quelle che vedono alla televisione quando ci sono i video delle canzoni. E allora glielo dico alla mia mamma e Gaia si arrabbia perché dice che faccio la spia, ma non è vero, io non voglio fare la spia io voglio fare l’uomo ragno, che se avevo le ragnatele poi glielo facevo vedere io a quelle due chiuse dentro la cameretta.
Ma ho quattro anni, devo andare al liceo e poi mi punge il ragno e io divento Spiderman, anche se però io non mi chiamo Peter Parker, mi chiamo Pietro io, chissà se va bene lo stesso.

21 giugno 2013

Smettila

Ma quand'è successo di preciso me lo dici? Quand'è successo che ti sei trasformata in questa versione scema di Pollyanna che deve vedere il bello per forza nelle persone? Che parti sempre per la tangente tu, che tutte le persone sono eccezionali fino a prova contraria, ma guarda che non è così, prendi nota, dovresti imparare, non è così, è più il contrario e prima lo impari meglio è, che le persone sono stronze fino a prova contraria.
Ed è con questo spirito che ci devi andare incontro, alla gente, con lo spirito del "io di te non mi fido", ma soprattutto "io non mi fido di me perché ho incontrato tante persone nella vita e allora si vede che quella cosa di saper inquadrare qualcuno dalle prime due battute me l'hanno montata al contrario, e finisco per prendermi tante di quelle batoste che ormai sono abituata a stare in piedi in un modo tutto dinoccolato, quel modo di stare in piedi che hanno le persone con le ossa tutte rotte".
E infatti guarda che è così, deficiente che non sei altro, ancora ti aspetti qualcosa di bello, e ancora non sai prendere le misure bene dello scarto che c'è sempre - oh, sempre - tra quello che ti aspetti e quello che invece poi arriva. E incassi delusioni e ancora non ti arrendi.
Che pensavi di essere, su una pista da ballo? No, non è una pista da ballo questa, è una centrifuga, e tu puoi anche ballarci dentro, come facevi alle giostre, te lo ricordi il tagadà, quanto ti piaceva riuscire a stare in piedi là in mezzo mentre tutto girava, provaci ancora Sam, provaci ancora a stare in piedi e a ballare su questa cosa che ti sembra una centrifuga ma no, guarda, ci sono le lame, è un frullatore e ti sta facendo a pezzi.

E così tanta disattenzione, così poca cura, e tutti quei sorrisi che hai sprecato, quelle parole che hai inventato per costruire mondi quando ce n'era bisogno, che ora ti sembra che non le sai più inventare le parole per nessuno e come ti pesano le guance che dai, quello non è un sorriso, smettila o riprovaci ma non fare quella faccia, quello non è un sorriso, non ne sei più capace, e va bene vuoi gridarlo? gridalo, fanculo a chi ti ha trattato così, ma soprattutto fanculo a te che gliel'hai permesso.
Perché non è quasi mai una questione di "come ha potuto" ma di "come gliel'ho permesso".
Ma tanto lo sai.
Sei qui davanti con quegli occhioni liquidi ad annuire ma lo sai che questa cosa non la imparerai mai, che ti fiderai ancora, che ti esporrai, ti aprirai, e ti metterai a dare te e tutto in quel modo matto e disperatissimo che solo tu, e allora io cosa posso dirti, chi è causa del suo mal pianga se stesso, ma no, non te lo dico, ti dico sono qui, ci sono, sbriciolati pure un'altra volta che poi ti raccolgo io, e poco importa se io e tu siamo le due facce della stessa persona, c'è bisogno di qualcuno che tiri le fila, che metta i puntini a inizio riga di un lungo elenco di cose da fare e da non fare più.
Che verrano, in entrambi i casi, disattese.

Però magari la prossima volta lo facciamo con un'altra faccia, con altre spalle, con le clavicole forti, col cipiglio, con la voce bassa, con i non mi fido, con i vaffanculo nella cartucciera, che non li useremo, ma sapere di averli lì ci farà sentire protette.
Tutte e due, tu stupida Pollyanna e io con la penna in mano.
Ora smettila.

20 giugno 2013

Vedi Cara: esegesi di un pugno nello stomaco

Come si fa a spiegare una canzone? Io non ne sono capace, io non ci provo neanche, come faccio, quello che vale per me non è necessariamente vero per qualcun altro, è tutto un gioco di interpretazioni e come donna l'interpretazione mi riesce perlopiù da schifo, campionessa mondiale del fraintendimento io, soprattutto di parole maschili, sicché cosa dovrei dire.
Però.
Però ci sono quelle canzoni che le puoi sentire duecentomilioni di volte e ogni volta ci troverai dentro qualcosa di diverso, e non perché cambiano loro ma perché cambi tu, e ti colano dentro come tempere a olio e tu ci metti il tuo colore di base e loro ti si attaccano alle pareti dello stomaco e ti fanno fare pensieri densi e ancora più fortemente colorati, ma di un colore che prima non c'era, sarà la musica, sarà che poi secondo me ognuno ha la sua canzone quella che quando la senti è come se qualcuno avesse trovato la chiave di quello scrigno chiuso, e pieno di chissà cosa, che sei.
Vedi cara.
Guccini.
Attacca la chitarra e sei seduta in una grande cucina, di quelle di una volta con il camino grande, il tavolo con dodici posti intorno, ma occupati soltanto due, con le sedie di paglia e una bottiglia di rosso che ti scalda il sangue e la lingua mentre parli e spieghi, spieghi e parli, ti incazzi, piangi, bevi, piangi, spieghi, parli e canti. E non sono mica sola, eh. C'è la canzone. E c'è Stazzitta.
Non esiste una canzone con un testo più perfetto di questo. Ma l'avete mai letta? Non dico ascoltata, proprio letta, che la musica ne amplifica gli effetti ma questa cosa andrebbe mandata a memoria, si farebbero pensieri migliori.
E siccome Daniela e io questa canzone l'abbiamo davvero ascoltata qualcosa come duecentomilioni di volte, inconsapevoli che a seicento chilometri di distanza ci fosse un'altra persona con la stessa monomania, a cantarla, farci sopra un pianto, e pensare "è così, è esattamente così", ora noi proviamo a spiegarvela, ma è difficile spiegare è difficile capire se non hai capito già.

Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Vedi cara, tutto quel che posso dire è che cambio un po' ogni giorno e che sono differente.
Vedi cara, certe volte sono in cielo come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
[Lara] C'è questa cosa che l'ottimismo è molto meglio tollerato del suo contrario. E se sei blu, cazzo no, blu non va bene, tutti vogliono vedere il giallo, e allora inventatelo quel giallo che non hai, quel colore che non sai, ma dentro sei blu e come fai a spiegarlo quanto blu è quel blu, non lo sai spiegare non ci sono le parole giuste, forse ci sono dei suoni, ma delle parole no, blu, come cambia, come vira come diventa cangiante.
E ci sono giornate gialle, quante volte sei stata là in alto con tutto quel panorama negli occhi che soltanto l'altezza di un volo alto e un attimo dopo, una parola sbagliata, giù a terra, schiacciata e distrutta ci sono giorni così, davvero e arrivano e li prendi così come arrivano, ci voli sopra come un aquilone al vento, ma sei anche consapevole che poi torni a terra, più a terra che mai, ma come fai a spiegarlo a chi non ha già capito che eri vera mentre volavi leggera come un aquilone e sei vera anche quando torni a spiaccicarti per terra, e c'è molta incoerenza in questo, ma che ne sai, se non l'hai capito non c'è niente che io ti possa spiegare.

Vedi cara, certe crisi son soltanto segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire.
Vedi cara, certi giorni sono un anno, certe frasi sono un niente che non serve più sentire.
Vedi cara, le stagioni ed i sorrisi son denari che van spesi con dovuta proprietà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
[Daniela]: In un'altra canzone nel mio Ipod si dice "quando arriva una crisi è tutt'altro che folle, è un eccesso di lucidità". Chi meglio di me? Io che di "urlare per uscire" ne ho fatto ragione di vita e di analisi, io che mi sono ripromessa più e più volte di non tenere dentro nulla, dalla ritenzione idrica al rancore. Eppure è vero, certi giorni sono un anno, di pesantezza, consapevolezza, crescita ai limiti della vecchiaia, certi pomeriggi da sola in mutande nel letto a fissare la riga della coperta marrone di ikea e a prepararsi all'epifania che davvero "certe frasi sono un niente che non serve più sentire". Basta parlare, basta dire, basta dirselo, basta ripetere. Non serve più. Non ci fai un cazzo, con quel tempo speso a sapere tutto e non fare nulla, riprenditi stagioni e sorrisi, riprenditi la proprietà, nel senso vero e potente e liberatorio del termine. La dovuta proprietà. Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già. E chi capisce prima, faccia tana libera tutti.

Non capisci quando cerco in una sera un mistero d'atmosfera che è difficile afferrare.
Quando rido senza muovere il mio viso, quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare.
Quando sogno dietro a frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni, dietro a ciò che non sarà.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
[Lara] Eccolo qui il sognatore, l'atmosfera, le frasi di canzoni, i libri, gli aquiloni, quelle cose che a vent'anni sono tollerate e man mano si cresce lo sono molto meno, che diventi grande e mica ti puoi mettere a sognare ancora così, cosa fai, sei scemo?, ma se sei sognatore, se hai bisogno di quel lato molto meno concreto, di quel pensiero volatile e frammentato, di quella fantasia da rincorrere non cambi solo perché cambia il numero delle candeline su una torta sempre più piccola, cambia solo il modo di manifestarlo, e devi trattenere molto di più, e diventi solo molto più capace di scindere quello che senti dal modo in cui lo riesci a fare uscire, quindi piangi senza un grido e vorresti urlare, ma no, perché sei grande ora e non puoi, ma cazzo com'è difficile, e quanto non lo capisce chi invece concreto ci è diventato davvero, non ci sono parole per spiegarglielo, che si diventa grandi in molti modi e non ce n'è uno più giusto di un altro.

Non rimpiango tutto quello che mi hai dato, che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora.
Anche se tutto il mio tempo con te non dimentico perché questo tempo dura ancora.
Non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione che lontano ora mi fa.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
[Daniela:] Strofa pregnissima, piena di roba.
Darsi le colpe, prendersi i meriti. Bravo chi non lo fa. Ma il rimpianto, quello no, quello è da stronzi: ciò che dai dai, ciò che prendi prendi, e forse tutti sti abbracci e ste mani strette servono a creare un circolo ininterrotto, finché uno dei due non si stacca. Ma qui il senso è tutto in quel "che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora": c'è sempre uno dei due che costruisce materialmente l'equilibrio emotivo della coppia, l'altro si affida, per mancanza di creatività, di profondità, di confidenza con i sentimenti, di coraggio, di energia. Quando entrambi lo vogliono fare di solito volano i coltelli, ché "nessuno ti amerà mai come ti amo io" non è mai vero quando la ascoltiamo ma l'avremo pronunciata mille volte. Ma attenzione, il punto focale non è "tutto il tempo", e non è nemmeno "non dimentico", ma "perché questo tempo dura ancora". Chiedetevelo ogni giorno chi è la persona con cui vi siete svegliati, chiedetevi che ci fate in quel letto. Il tempo dura lo stesso, ma "questo tempo" che dura a fare? E la risposta non è altrove, niente visi, niente nomi, ve piacerebbe. Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già. E soprattutto non inventiamoci stronzate.

Tu sei molto, anche se non sei abbastanza, e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi,
tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco, tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi.
Io cerco ancora e così non spaventarti quando senti allontanarmi: fugge il sogno, io resto qua!
[Lara] La parte che mi sbriciola fine fine. Tu sei molto anche se non sei abbastanza. Ci vuole molto coraggio a dirlo ma è così. E non è che non sei abbastanza per qualche mancanza, non sei abbastanza perché io sono così, non saresti abbastanza comunque, non saresti abbastanza mai, tu sei tutto ma quel tutto è ancora poco per chi la vita- le persone - tutto lo affronta famelica, irrequieta, con una sola domanda in testa, sempre, costante "c'è ancora altro?" e finisce per continuare a cercarlo in un totale senso di insoddisfazione costante, che tu mi chiami rompicoglioni, ma ci vuole una gran forza per continuare a chiederselo, a pretenderlo, a cercarlo, e lo so che tu sei capace di essere contento di quello che c'è ma io no, io continuo a cercare, a volte vicina a volte lontana, ma senza smettere di amarti neanche per un attimo, vado lontana a cercare quell'ancora altro e poi torno, solo un po' più disillusa, un po' più disincantata, non è colpa tua è un sogno mio, tu mi chiami rompicoglioni, io ho smesso di chiamarmi da un pezzo, restiamo qua vicini, anche se, anche ma, anche io.

Sii contenta della parte che tu hai, ti do quello che mi dai, chi ha la colpa non si sa.
Cerca dentro per capir quello che sento, per sentir che ciò che cerco non è il nuovo, libertà!
Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
[Daniela]: La conclusione e la carezza sulla guancia. La parte che mi fa incazzare di più. "Sii contenta della parte che tu hai, ti do quello che mi dai": accettare di dover scendere dal piedistallo, quando il piedistallo a volte nemmeno c'è, è una roba che quando l'hai imparata o sei matura o sei sola. Ma essere contenta di avere quello che ti viene dato, e con tutta questa onestà poi, è una roba che quando l'hai imparata, non sarai mai vecchia e sarai sempre innamorata. E non ha nulla a che fare con l'esseresestessismo, con l'accontentarsi o l'arrendersi, con il prendere la vita fricchettone come viene qui e ora (che insomma, certe volte, buttalo via), quanto con lo smontare quello schema perverso di voler conoscere e contemporaneamente cambiare chi ti sta intorno, e sentirsi legittimati nel pensare che se non cambierà per noi, è perché non è amore.
Se vi fa spazio, e ci state comode e bene in quello spazio, godetevela e non rompete i coglioni, che "chi ha la colpa non si sa", e già nell'immaginare che ci sia una colpa sta facendo uno sforzo sovrumano. "Cerca dentro per capir quello che sento, per sentir che ciò che cerco non è il nuovo o libertà" è abbastanza chiaro, ma basterebbe confrontare il Guccini lucido e dolce di Vedi Cara con quello impietoso di Quattro stracci per imparare la potenza di un tono che cambia (ricordatevelo nelle vostre future litigate). "Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos'è la libertà!", fateci i conti con la libertà, che non è una gentile concessione, e se poi va dove vuole andare, se poi invecchia come gli pare, non è uno stronzo, è che è difficile (e inutile) spiegare, è difficile (e inutile) capire, se non hai capito già.

14 giugno 2013

L'infanzia secondo Hosseini, ma anche secondo me

C’è questa cosa che il 21 giugno è il mio compleanno.
E c’è questa cosa che ho sempre pensato che il regalo che mi fa felice a colpo sicuro è un libro. Di quelli che scegli con amore, di quelli che “guarda ci sono proprio dentro io”, di quelli che in qualche modo hai sentito tuoi e li regali solo a chi li merita davvero, sfidandolo a ritrovarti dentro quelle righe.

[Il post continua su DonnaModerna].