28 ottobre 2011

I sogni son desideri ("in conto terzi" edition)

"Stanotte ho sognato che te la spassavi con James Franco per una notte intera. Perchè il mio idiota di un subconscio abbia dato a te la parte e non a me, è tutto da capire. Comunque ringraziami, va'..." (laStelladellaSenna, via mail).

Ecco, in realtà la mia notte l'ho passata tra l'incudine e il martello. Complice la Sua ennesima trasferta, e Lee che sa dove colpire dicendo "mi manca papino e se stiamo tutti nel lettone mi manca meno" (ma certo), l'assetto notturno di casa Zeta per questa settimana prevede una stanza, quella con il letto grande, dannatamente affollata.
Io sto in mezzo tra Lee che scalcia e Roo che mi si arrampica alla ricerca del lobo del mio orecchio.
Ecco, per dire, James Franco non era con me, e se c'era io ero talmente incazzata che devo avercelo mandato.

Ma spero che la mia amica continui a sognarlo.
Sai mai che i suoi sogni si avverino.
I miei di certo non lo fanno, altrimenti io vivrei in qualche foresta di sequoie con il mio vampiro di riferimento.
Sì, sempre lui.
Ma ora ci immagino genitori, quindi vedete, sto crescendo.

Buon weekend.
Io parto.
E poi torno, anche.
Credo.

27 ottobre 2011

[dura ammetterlo ma] Ha preso da me

[Cielo azzurrissimo, neanche l'ombra di una nuvola, temperatura perfetta] - Oggi fa t(r)oppo caldo: non possho anda(r)e all'asilo.
[Pioggia] - Mamma, oggi piove. Non si può anda(r)e all'asilo, quando piove.
[Corre a prendere un fazzoletto e si soffia il naso - a secco] - Ho il (r)aff(r)eddo(r)e, quindi shono malato, quindi non possho anda(r)e all'asilo.
[Gli va un biscotto di traverso, tossisce] - Hai sentito? - Cosa? - La tosse, mamma, la tosse! Non possho anda(r)e all'asilo.

- Oggi dove andiamo?
- All'asilo.
- Nonnò, io non possho. Gua(r)da: non riesco a cammina(r)e [mimando una camminata zoppicante].
- Ma non mi dire.

- Lo vedi questo lib(r)o? [il primo a caso che gli capita a tiro]
- Certo.
- Me lo leggi?
- Va bene. Allora, "c'era una volta..."
- No.
- No?
- Nonnò c'è (s)c(r)itto: oggi (R)oo non può andar(r)e all'asilo.
- Ma tu pensa. Me lo ricordavo diverso.

[rumore di treno in lontananza] - Io all'asilo ci voglio anda(r)e in t(r)eno.
- Tesoro, fidati, non conosci Trenitalia.
- Se non possho anda(r)e in t(r)eno all'asilo, allo(r)a non ci vado.
- Sono quasi certa che prima o poi nella vita mi dirai il contrario, ma comunque.

[illuminato] - Ho un'idea!! Facciamo così: oggi io non vado all'asilo e tu non vai al lavo(r)o!
- Facciamo invece che ci andiamo tutti e due, e in fretta anche...
- Uffa.
- La vita è durissima.
- È ve(r)o.

[una mattina, ore 7:30, il concerto dei campanili intorno a casa]
- Mamma! Senti!
- Cosa?
- Le campane!
- Eh.
- Lo sai cosa stanno dicendo?
- No, cosa dicono le campane Roo?
- Dicono: oggi non si va all'asilo.
- Parli il campanese?
- Eh ce(r)to.


La fantasia non gli manca. È che poi all'asilo ci va senza fare una piega, e ci sta anche bene.
Sembra me quando devo andare a correre.

26 ottobre 2011

Pleens


Prendo in prestito il nome di questa piattaforma nata per associare emozioni a luoghi. Mi piace la parola pleens, ha il suono di una goccia che cade nell'acqua, sa di qualcosa che si riaccende all'improvviso, sa di cose che tornano luccicanti quando le tiri fuori dai bauli del passato.
E quindi pleens. E sono miliardi. E qui solo alcuni.

pleens - quell'aeroporto che partivo per la prima volta da sola, sedicenne, un mese via da casa in un'epoca in cui restare connessi non era semplice come ora
pleens - quella panchina, quella del primo bacio
pleens - quel soffitto, quello che guardavo quella prima volta
pleens, immenso - quel corridoio e la pelle e le mani e quel profumo
pleens - il davanzale di una finestra al piano terra, il giro di Milano e un anello
pleens - la mia scuola delle medie, quando quella notizia che non volevo sentire, e no no non me lo dire, non è vero, e adesso?
pleens - quel parco, quella panchina, "non riusciamo più a stare insieme" e a dirlo era lui, e io ero giovane e che male che faceva
pleens - Milano, tutta, un altro lui, noi: tanti posti, roller coaster di sensazioni, belle e brutte, spesso mescolate, e ogni giorno diversi, più grandi, migliori, svuotati, arricchiti, felici, distrutti
pleens - il cavalcavia Bussa di Milano e le labbra, le parole e le lacrime, appartenenza al netto del possesso, e il dolore, l'inaccettabile, l'inevitabile, e ciao
pleens - il reparto maternità, dove torno solo per vedere neonati altrui, eppure è stato ieri, c'ero io, con Lui, le mie paure e quei dolori ed era solo l'inizio
pleens - Conservatorio di Milano con la pioggia, e suoni di strumenti vari ovunque, nell'aria, nella testa, e quel desiderio bruciante di farne parte
pleens - il duomo di Modena
pleens - Verona: che è un luogo mentale, che non ci sono mai stata, ma è già piena di tanti ricordi e progetti e speranze che non
pleens - lo stadio di San Siro l'anno della finale di Champions a Milano, e gli spagnoli e le notti non dormite e la stanchezza e le nuove amiche (durate il tempo di un battito d'ali)
pleens - quel teatro, quello dei saggi di fine anno e l'ultimo eravamo vestite da improbabili Marilyn a ballare su ancora più improbabili tacchi che non sapevamo usare, non ancora donne, non più bambine
pleens - Roma, tutta, Lui, noi



Quali sono i posti dei vostri pleens?


(grazie Robbie per la foto)

25 ottobre 2011

Not Lara's Boat (ah non era così?)

E piove così tanto che mi prende una tristezza che mai.
E mi sento naufraga dentro me stessa.
Come quelli di Lost.
Ma vestita molto meglio. Diciamolo.

24 ottobre 2011

La miglior difesa è l'attacco (o il cambio di gioco)

E io sono la Regina e posso andare dove voglio, e mi sposto, e mi muovo, e sono la più forte.
Io percorro quel pavimento a quadrati bianchi e neri in lungo e in largo. Non a L come il cavallo, non solo in diagonale o in perpendicolare; non faccio un passo alla volta io, io sembro volare là sopra.
Mi muovo veloce, vado ovunque, mangio dove necessario, sono un uragano.
Però.
Quando voglio stare sulla difensiva io non ho un esercito a difendermi.
Non posso arroccare con la torre, io.

Cioè quando la Regina si stanca di attaccare e di correre, niente, è finita.
Non si può permettere neanche un secondo di non attacco.
Che ci può essere il giorno che una non c'ha voglia di correre e attaccare, o no? E niente, se non attacca è spacciata.


Che palle.




E allora mi immagino che incassi la sconfitta, salti giù dalla scacchiera e faccia amicizia con i pezzi eliminati, gli sconfitti come lei, li immagino che si sfogano tutti insieme davanti a una birra su quanto è dura la vita, ma che ne vuoi sapere tu, a me lo dici che vado avanti a L?, e io che faccio un passo alla volta e mangio in diagonale?, e io che sembro uno psicopatico che corro in obliquo solo sui quadrati neri, e io su quelli bianchi, che ne vuoi sapere tu Regina, tu che sei così forte e te ne vai dappertutto, che ne sai tu della fatica di stare là sopra con le poche risorse che abbiamo noi?
Siediti qui un attimo che ti spiego.

20 ottobre 2011

A scuola con Lara: metastabilità

"In fisica la metastabilità è una condizione di equilibrio che, a differenza dell'equilibrio stabile, non corrisponde ad un minimo assoluto di energia. Un sistema in equilibrio metastabile si mantiene in condizione di equilibrio (meta)stabile nel tempo, fintanto che non viene fornito al sistema un quantitativo sufficiente di energia che ne perturba il suddetto equilibrio: se l'energia fornita è sufficiente allora questa spezza la condizione di stabilità del sistema conducendolo in un'altra condizione di equilibrio metastabile o alla condizione di equilibrio stabile (definitivo)[...]. Quindi la metastabilità è una sorta di via di mezzo tra la stabilità e l'instabilità e per questo motivo la condizione di equilibrio metastabile è una condizione di equilibrio detta anche quasi-stabile o localmente-stabile". (aah, Wikipedia, come farei senza di te).

Ecco, io sono metastabile.
Il mio equilibrio è come quello delle tessere del domino in quel funambolico gioco di causa-effetto: una vita per metterlo in piedi, pochi secondi per buttarlo giù.

Ma che spettacolo, oh.

19 ottobre 2011

Teen

[Driiiin]
- È urgente? Sarei in riunione.
- Devo dirtelo: mi fa paura l'adolescenza di Lee...
- Ti ho chiesto se è urgente, Lara. Mancano almeno dieci anni.
- Bè meglio farsi trovare preparati. Te l'ho detto mi spaventa, col carattere che ha...
- A me no.
- No?
- Io sono preparato. Io ho te. Non c'è niente che nostra figlia possa fare che non faccia già tu tutti i giorni, e peggio.

[Click]

17 ottobre 2011

Pronti partenza via

Ore 7 di mattina e ho già fatto colazione, cercato vestiti che Lui "dove sono?", ho lavato, vestito e colazionato due biondini, discusso con Lee per l'abbigliamento di oggi, tagliato 20 microunghiette delle mani, rifatto tre letti, caricato e avviato la lavatrice che va a ciclo continuo, idem la lavastoviglie, sistemato il salotto tre volte che inspiegabilmente torna a riempirsi di giochi in un attimo, mi sono lavata, vestita e Lee ha scelto per me una collana di perle vere che lèvati, preparato due zainetti per l'asilo, sedato sul nascere due litigate, parlato da sola per cinque minuti buoni, litigato con l'armadio e soprattutto con la scarpiera, ri-stirato due grembiulini che Roo aveva appallottolato in fondo all'armadio, cercato n macchinine e n+1 schede da colorare/pennarelli/colla, spazzato il pavimento due volte ché Lee è solo forbici e coriandoli.

È lecito ora tornare a dormire, vero?

16 ottobre 2011

Poi, chiaro, ognuno nelle gite fuori porta ci trova un po' quello che crede...

Ma quale Duomo.
Ma quale Castello.
Naaa, neanche la Galleria.

Le vere attrattive di Milano sono:
- Dumbo, in versione "buca d'angolo" (tocca andare da Christies per aggiudicarselo, anche se fa a pugni col divano)
- la fontana
- l'acqua.



Perchè? C'era forse altro da vedere?

15 ottobre 2011

L'esclusione

Vado a prenderli all'asilo, raccolgo tutto quello che va portato a casa da lavare, tolgo i grembiulini, e sorrido scoprendo i nuovi meravigliosi accostamenti cromatici dell'abbigliamento di Lee. Mentre nel rumore generale cerco di farmi raccontare cos'hanno fatto, se hanno mangiato, se sono stati bene, e "tirati su da terra Roo", arriva N. - la migliore amica di Lee - per comunicarle con quel tono canzonatorio tipico dell'asilo (del resto l'età è quella e anche il posto è quello giusto) che "io vado a giocare a casa di G.".
Un tono di voce e una cantilena che a ruoli invertiti avrebbe usato anche Lee, pari pari.
Ho visto Lee guardarmi come per chiedermi andiamo anche noi.
No che non andiamo anche noi, per oggi si trovano loro.
E lì.
Dramma.

L'ho vista soffrire per il dolore dell'esclusione. Lo conosciamo tutti bene, siamo stati tutti da una parte e dall'altra. Ma se ho imparato nel tempo (non a cinque anni) a gestire il mio, di certo non ero pronta ad affrontare il suo. Perché quando l'ho vista così, sofferente, indifesa, esclusa, piccola, con le altre mamme che si fermavano a chiedermi cosa avesse tanto il dolore era palpabile, io meditavo feroci vendette a base di case bruciate e tagli di capelli notturni alle altre due e, già che ci siamo, relative madri, vorrai mica fare un lavoro incompleto...
Mi sono guardata bene dal comunicarle queste mie idee moderate, non volevo essere il generatore di sentimenti che lei ancora non conosce, non volevo insegnarle a provare qualcosa di spiacevole che lei spontaneamente non. Ho taciuto, l'ho abbracciata, ma dentro ribollivo.

Non ero pronta a vederla soffrire per questioni sociali. Di solito le lacrime sono per la caduta e il ginocchio sbucciato, per il fratello che le ha rotto un gioco, per la stanchezza, o perché non può mettere il prendisole visto che nevica.
Le sono stata vicina, l'ho coccolata, ho lasciato da parte quello che avrei dovuto fare barattandolo con uno di quei pomeriggi sdraiata per terra a giocare a turno con macchinine, cavallini, bambole, pennarelli.
Mi è sembrato si sentisse meglio.
Ne abbiamo parlato e lì ho capito la sua limpidezza, così pura, ingenua, bellissima, ancora incontaminata. Perché io credevo che lei volesse rendere pan per focaccia alle sue due amiche, invitando chiunque altro tranne loro, ma questo è un genere di ragionamento più grande, più mediato, inquinato da altri meccanismi sociali e antisociali.
A lei quello che interessava davvero era solo avere un'occasione. Non vuole avere accanto altre amiche. Vuole proprio quelle due che l'hanno esclusa e se oggi è andata così pazienza, vuole l'opportunità di viverle anche lei da vicino in modo eslcusivo.

Ecco, la teoria l'ho capita.
Quando mi passa la voglia di rasarle a zero le inviterò a casa.

12 ottobre 2011

Dopo agosto, amor mio non ti (ri)conosco

Maddalena, il grande amore di Roo prima dell'estate, quella che tra un calcio e una spinta gli faceva il solletico che immagino sia il modo treenne di dirsi che "sì, ok, ti sposo, ma prima devo fare pipì", ecco lei che "Roo vieni qui facciamo una corsa", ha messo gli occhiali.
E il risultato di questo cambiamento è che Roo non la riconosce.
Ma non per scherzare, non la riconosce proprio.

- Sai, anche io avevo un'amica che si chiama come te, Maddalena.
- Sono io.
- No, la mia amica mi faceva il solletico.
- Ero io.
- No, con lei facevo tante co(r)se.
- Ero io.
- Mamma ve(r)o che avevo un'amica che si chiama Maddalena come lei?
- Era lei.
- No, quella che saltavamo giù dai mu(r)etti alti...?
- Era lei. / - Ero io.

Niente da fare.
Basta un cambiamento nel look e lui disconosce il suo amore.
Pensavo non sarebbe successo prima dei dodici anni.
Almeno non si nasconde dietro la scusa "non è perchè sei tu, ma perchè sono io", dai.
Non ancora.

Casa Zeta - ore 6:15 a.m. - episodio n. ho perso il conto

- Oh, cos'hai lì dietro l'orecchio?
- Oddio, cos'ho?!
- Non lo so, non capisco se è una ciste o se sei solo gonfio.
- Eh, mi fa male anche: dev'essere la parte del cervello che ti dà ancora retta.

11 ottobre 2011

Regalo mio più grande (e dintorni)

C'è stato un tempo in cui io amavo fare i regali. Ma non per quelle storie altruiste della bellezza del dono, no, il mio era puro distillato di egocentrismo: adoravo vedere la faccia di scartava i regali, adoravo che mi riconoscessero di essere davvero speciale, adoravo che mi adorassero in quel preciso istante in cui toglievano la carta. Niente di altruistico, insomma: trovavo sulle facce altrui le conferme che volevo avere, e se per farlo dovevo solo fare un regalo ben riuscito, vabbè, per me non era un grande sforzo.
Fino a quella volta.
Quella volta che era il compleanno di quella persona.
Avevo preparato tutto.
E mentre preparavo quel regalo che l'avrebbe sorpreso ma mai mi avrebbe mostrato quanto, già misuravo lo sbilanciamento che ne derivava. Nessun riconoscimento, nessuno stupore, nessuna adorazione istantanea e momentanea mi avrebbero mai ripagato. Lo sapevo già dall'inizio che avrei ricevuto un grazie distratto, e poi di nuovo via nella sua vita fatta di porte aperte e chiuse. Eppure.
Non riuscivo a sottrarmi a quel gusto masochistico di chi, pur sapendo che non gli sarebbe stato riconosciuto alcun merito, non poteva esimersi dal fare una cosa speciale per la persona più sbagliata al mondo.
E quindi.
Pentaregalo.
Un regalo per ogni senso: vista, udito, tatto, gusto, olfatto, oltre al biglietto che ne svelasse il percorso. Ogni regalo un colore, ogni colore una carta, ogni carta un biglietto, tutto confezionato come se fosse un immenso fiore, m'ama - non m'ama. Non m'ama. Poco ma sicuro.

Mentre preparavo il tutto mi montava la rabbia, che stavo facendo un regalo bellissimo ad una persona che non lo meritava, consapevole che per correttezza intellettuale con me stessa, mai avrei potuto riciclare l'idea per nessun altro.
Era nato per lui e finito con lui.
Mentre lo preparavo, colorato, ricco, perfetto, ripercorrevo la nostra relazione. Ero talmente esausta alla fine che gliel'avrei tirato dietro invece che consegnato, tanto la reazione sarebbe stata identica. Mi facevo tenerezza per la delusione a cui stavo correndo incontro con le braccia legate dietro la schiena e senza alcuna possibilità di attutire il colpo.
E infatti.
Quella cosa che le persone cambiano e alla fine riescono a sorprenderti in positivo esiste solo nei film americani. Andò esattamente come mi aspettavo, lui distratto, affrettato, io fredda e vagamente cinica, il regalo perfetto nelle mani sbagliate, con il clima sbagliato, le parole sbagliate, la musica sbagliata, il grazie accennato, la mia lontananza.
È stato solo uno degli episodi che non, di quella storia.
Eppure mi è rimasto addosso. Mi ha sfinito. Mi ha tolto il gusto di fare le cose, di fare i regali, di prestare quell'attenzione all'esterno per trovare il regalo giusto per qualcuno, di sentirsi abbracciati e ringraziati in quel modo speciale che sanno fare le persone quando ricevono qualcosa che è perfetto per loro.
Li faccio i regali, certo. Ma senza più quell'incanto. Ed è un vero peccato.

Ecco poi un giorno parliamo anche dei regali più sbagliati che ho ricevuto io, eh, bel capitolo ampio anche quello.

8 ottobre 2011

Pollice verde

[esterno, sera]
- Uh, senti che odore di Mojito...!
- In natura la chiamano menta, Lara.
- Maddai.

6 ottobre 2011

iBye

Cioè dai, io non lo conoscevo bene. 
E io li odio quelli che tutt'un tratto sembra che lo conoscano solo loro per due righe che hanno letto su Wikipedia Uk, e domani saranno tutti t-shirt con la mela morsicata (ricordo il giallo-Freddy-Mercury, improvvisamente ovunque, nel novembre 1991).
Non mi sono mai documentata tanto sulla sua vita, so di Apple, so che era un genio, al punto da riuscire ad inventare dei prodotti che generano amore in chi li ha e invidia pura in chi non, so qualcosa che riguardava la calligrafia e i caratteri tipografici, so che ha inventato quel telefono che è tuttissimo e io lo voglio, ma soprattutto so di quel discorso alla Stanford University che era così "alto", così motivante, così bello-immenso-grandioso, che ti faceva venire voglia di provarci davvero ad essere una persona migliore.
O meglio.
Ad essere il miglior tu possibile. 
E tutti i tuoi sogni, e quelle cose lì, molto "I have a dream".


E ora non c'è più.
E non c'è niente da dire davvero, la schermata di Google così silente, bianca, pulita, mi sembra la miglior sintesi che se ne possa dare.



Stay hungry. Stay foolish.

5 ottobre 2011

Per lo psicoreato quanto dovremo attendere?

E c'era il ministero della Verità che si occupava di rettificare le notizie di modo che collimassero con l'idea di realtà che il Grande Fratello voleva dare. Era il 1984, e il peggiore dei reati era lo psicoreato, cioè pensare qualunque cosa che non perpetuasse lo status quo imposto dall'alto dagli organismi governativi.
Sembrava fantascienza.
E invece.

Il comma 29 e tutto il DDL anti-intercettazioni è in dirittura d'arrivo sulla Gazzetta Ufficiale.
Questo significa che tutti i blog, i siti web, le testate on line che si occupano di quell'informazione libera dai poteri forti che è possibile proprio laddove non c'è un soggetto pagante ma solo il gusto di dare una notizia in modo davvero libero, sono obbligati a "rettificare entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento ogni contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine". Purtroppo il giudizio sull'effettiva "lesività" non viene delegato a un giudice terzo e imparziale, ma unicamente all'opinione del soggetto che si presume danneggiato (cit. Wikipedia).

Il mio è un blog personale. Difficile trovarci dentro qualcosa di lesivo per l'immagine di qualcun altro che non sia io. Ma questo non conta. La possibilità, unita alla capacità, di trovare notizie on line è quel meccanismo che consente di svincolarsi dall'informazione eterodiretta dei tg televisivi. In rete c'è satira, c'è partecipazione, c'è critica, c'è una presa di posizione "contro" sempre molto forte. Che io ne scriva o meno conta poco, io ne fruisco. E questo per me è fondamentale.

E ora niente, Wikipedia si mette il bavaglio, altri siti, blog, testate non tarderanno a fare lo stesso, perchè piuttosto che dare una notizia edulcorata, ecco, facciamo anche no, a maggior ragione che scriverne implicherebbe una serie di problemi, economici in primis che non so le testate, ma i blogger di certo non si possono permettere di affrontare.


"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". 
Articolo 21.
Della Costituzione, eh, mica del manuale delle giovani marmotte.
Della Costituzione italiana, e dove viviamo noi? Ah, già.
Io non ci posso credere.
Come siamo arrivati a questo? Bè lo sappiamo...
Ma soprattutto, quale sarà il prossimo step? Lo psicoreato?

Eccheccazzo.

4 ottobre 2011

Come la carta trasparente delle caramelle

Non posso smettere di guardarti.

Mi sei rimasto dentro gli occhi, che siano aperti o chiusi.
E ora guardo tutte le cose attraverso di te.
Sei il mio filtro, il mio caleidoscopio, la mia prospettiva.

3 ottobre 2011

Il Rolling Stone di Corso XXII Marzo

[Maglietta subito]

"Rispetto per i ricordi, ca#*o!"

La Ste, via facebook.




Questo è il Rolling Stone oggi.
Diventa un supermercato (eh, del resto chi non ne sentiva il bisogno...).
Io, davvero, non ci posso credere. Ora, al di là dei miei ricordi specifici sul Rolling Stone che meriterebbero un intero blog a parte, mi chiedevo: ma Milano, quand'è che si ripiglia? Non si rischia di diventare ancora più aridi se si elimina tutto ciò che presume un coinvolgimento "simpatico" (nel senso di disposizione d'animo favorevole a)?
Io aspetto.

Poi dici Roma.
Poi dici Torino.

Poi, soprattutto, dici 'sticazzi.