28 giugno 2011

88 passi sulle punte

"Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere". (A. Baricco - Novecento)

Io non ero infinita su quei tasti. Avrei tanto voluto esserlo, unicamente per non deluderla, ma non ci riuscivo. Andavo su e giù con le dita agili lungo quella tastiera, a cercare di comunicare un mondo interiore che ancora non aveva una forma chiara. Ma del resto, quando.

Ogni tanto ci riuscivo.
Molto più spesso no.

Era strana la situazione. Dovevo metterci "peso", io che il peso ho sempre cercato di toglierlo, sempre, da qualunque cosa. Mi muovevo su quei tasti come una ballerina mancata, leggera, volatile, là dove avrei dovuto metterci tutta me stessa, tutti i miei chili, le mie braccia forti, il mio essere "corpo".
La musica non è aria.
Quando la suoni la musica è soprattutto fisicità. Non è così eterea come uno crederebbe. Perchè se non ci sei tu, con le tue mani, braccia, gambe, corpo, a schiacciare su quei tasti e quei pedali, non esiste alcuna musica. E se alla fine di quattro ore alla tastiera ti fanno male le dita, e la schiena non la riesci più a tenere dritta, la sensazione "fisica" di musica è palpabile.
E come conciliare allora il fatto di voler essere leggera e invisibile con il fatto di dover suonare, rendere note ciò che sei, che senti, che respiri?
Io ci provavo a rendere parola quei puntini neri fitti fitti che se ne stavano adagiati sulle pagine ingiallite dei libri sul leggio. Ci provavo, ma ci riuscivo solo se mi si dava anche lo spazio per spiegarmi a parole.
"Non parlare, suona".
(Non parlare? A me? Eh?)

Lei sapeva leggermi. E anticiparmi.
Sono andata a lezione da lei per 15 anni, una volta alla settimana, due nei periodi di concerti e concorsi.
Lei, così insospettabile nel suo essere una vera artista, al netto di tutti gli orpelli artistoidi o presunti tali di cui si fanno vezzo quelli che di arte parlano ma a stento "fanno".
Lei, così materna e cruda, insieme.
Lei, capace di capire dal mio tocco sui tasti cosa mi fosse successo dentro, felice, triste, disperata, a cacciare due dita nel punto tra le scapole in cui io, da sempre, accumulo tensione. "Rilassa".
Avrei voluto essere perfetta, al pianoforte, per lei. Perchè lei era così straordinaria da meritare un'allieva perfetta, e quell'allieva avrei tanto voluto essere io.
Ma mi mancava il carattere. La tempra. Lo spirito di sacrificio e di lavoro duro.
Anni passati a destrutturare vecchi difetti di impostazione.
Anni passati a raccontare storie sottoforma di melodia. Allegra, straziante, straniante.

C'è tutto un mondo nei libri di pianoforte che è un peccato non saper raccontare. [Le sonate di Beethoven ad esempio sono un'opera omnia, un'enciclopedia, l'Iliade, l'Odissea, la Divina Commedia, tutto].

Però ho saputo leggerlo.
Lo so capire. Non lo saprei spiegare a qualcun altro, nel suo significato più profondo, ma comprenderlo sì, quello posso. È come saper leggere una lingua diversa, ma non saperla parlare, perchè la lettura e la conversazione viaggiano su registri cerebrali che non coincidono.
Saper leggere la musica: questo è un regalo meraviglioso che mi hanno fatto innanzitutto i miei genitori, quando all'ennesimo "voglio fare questa cosa" (tennis, pallavolo, ginnastica ritmica, artistica, danza, nuoto, sì in effetti ero un tantino volubile) hanno deciso di investirci e di credermi davvero.
Gliel'ho dimostrato con l'impegno e la costanza, chè 15 anni non sono proprio pochi e io a lezione ci andavo sempre, e ce la mettevo tutta.
Un regalo che mi ha fatto lei, che ogni volta trovava una chiave diversa per spiegarmi quelle cose, quelle più difficili, quelle storie che io ancora non capivo, ma poi.
Un regalo che mi sono fatta io, con l'impegno che ci ho messo per molto tempo.
Poi la vita.
Poi le scelte che prima o poi bisogna fare.
E la rinuncia spesso è parte di quelle scelte, del dover decidere quale strada delle mille intraprese nell'adolescenza vuoi che diventi la sola su cui camminare. E io non è che abbia mai deciso bene. Temporeggiavo e ruzzolavo qui e là, mentre facevo scelte che limavano il mio tempo e le mie possibilità "altre".
È ovvio che se ne esce più aridi. Io mi sono sentita così, svuotata, asciutta, inaridita, quando ho deciso che basta. E proprio perchè la musica è una madeleine di dimensioni epiche, ho dovuto eliminare ogni sonorità classica per molti anni dopo quella scelta. Per non parlare di quanto mi mancava lei.

Il mio pianoforte sta ancora lì a casa dei miei, nei suoi quattrometriquadri di ingombro, ad aspettare che le mie mani tornino a sfiorarlo. Io ancora non ci riesco. Troppo forte, troppe sensazioni, troppa gente che ascolta, troppa aspettativa "con tutto quello che hai studiato".
Per ora lo suonano Lee e Roo, oddio "suonano" non proprio, lo pestano senza rendersi conto di quante cose stiano lì dentro, in quella scatola nera, su quegli 88 tasti.
Un giorno, non so quando, domani o tra dieci anni, forse glielo spiegherò.
Magari a parole, magari suonando.
Davvero non lo so.
Vorrei solo che capissero che cosa speciale sia, ecco.

27 giugno 2011

Cherubini, ma soprattutto angeli

"Ci sono persone magnifiche su questa terra che se ne vanno in giro travestite da normali esseri umani". (F. Flagg)

Ecco, una di quelle persone mi ha riportato questo.



E io non so spiegare che cosa immensa sia, questa, per me.
L'avevo detto che era importante.
L'avevo detto che c'era dentro la Lara di 19 anni scarsi.
Quello di cui non ero certa, e ora invece sì, è che io lo so a memoria questo libro.
Quello che non ricordavo, e ora invece sì, è che io adoravo i disegni e soprattutto le foto che ci sono qui dentro.

Il mio l'avevo sottolineato con una penna azzurra.
Non sono certa che sottolineerei le stesse identiche frasi, anzi sono sicura che no, ma ce ne sono così tante e così belle, e Lorenzo era già così Lorenzo, anche se tanto giovane e naif, solo che lo sapevamo in quattro, quattro menti illuminate e lungimiranti, che ne troverò altre, diverse, comunque bellissime.

Un regalo fantastico.
Una cosa immensa.
Ehi, tu, grazie.

26 giugno 2011

Guarda, un gabbiano (sottotitolo: "a metà strada tra la Ciociara e quella del catalogo Prénatal")

7 i giorni effettivi di vacanza
40 il fattore di protezione medio utilizzato (poi dici, il colorito da "trovato brutto?")
11 il numero di bagni fatti
2 il numero di bagni fatti volontariamente
4 i braccioli gonfiati e sgonfiati per n volte, due di Barbie e due di Spiderman (no no, a noi i messaggi pubblicitari non ci sfiorano neanche, no)
12 il numero di miei costumi inseriti in valigia
2 il numero di costumi effettivamente utilizzati
84 le volte in cui uno dei due mi ha chiesto "mi compri...?"
5 i chilometri a piedi percorsi al giorno
0 il numero di pagine di riviste, libri, laqualunque lette durante la settimana, voglio piangere
3 i minuti effettivamente passati a prendere il sole da sdraiata
185 i secchielli d'acqua riempiti e 427 le formine di sabbia fatte e subito distrutte da Roo, Lee, il mare
18753 le volte in cui ho chiesto "Roo, devi fare la pipì?"
18751 le volte in cui ho detto "Roo, ma non avevi detto che non ti scappava?"
100 i minuti di corsa della settimana
6 i litri d'acqua di mare che Roo deve aver bevuto nell'entusiasmo delle sue nuotate (è troppo contento, non riesce a chiudere la bocca)
1845 le volte in cui ho detto "Non troppo al largo" e 1845 le volte in cui Lee mi ha risposto "ma io voglio andare in Corsica"
1 il sorriso, immenso, di Roo quando ha capito che può fare dei disegni di pipì
78 i messaggi/telefonate/tweet di auguri di compleanno ricevuti
4 le grandi sorprese
6 i cambi quotidiani di Lee, neanche fosse in crociera (la mise per andare in spiaggia, quella per andare a pranzo, quella per la pennichella, quella da parchetto, quella da cena e quella da uscita serale: davvero, parliamone - eravamo in appartamento eh)
8742 le nostre risate
1000 i Momenti di Grande Tenerezza, che sono poi quelli in cui mi fermo e constato che sto facendo, tutto sommato, un buon lavoro e che questi due bimbi sono favolosi.

49 percentuale di tempo in cui mi sono sentita una profuga accampata.
51 percentuale di tempo in cui mi sono sentita una mamma davvero ganza.

Alla fine dei conti sono un'ottimista, dai.

17 giugno 2011

A noi che siamo gente di pianura... (vi aspetto sul ritornello per il coro, accendini accesi)

Io, nel dubbio, parto. 
Intanto per nove giorni, poi torno a casa, e poi ci torno...
L'estate mi sfianca: nuotate, abbronzatura, e dai la crema-togli la crema, aperitivi in spiaggia, cene fuori, passeggiate birretta-dotate, grigliate di pesce, i piedi nella sabbia, vino bianco ghiacciato, è un lavoro durissimo ma, che volete, qualcuno deve pur farlo.

Io non vorrei, eh, ma devo.
Torno il 26 o giù di là... Forse.

16 giugno 2011

Come pane e burro

Maddalena ha i capelli biondo scuro e occhi verdi grandissimi, come quelli della sua mamma.
Maddalena ha 3 anni e mezzo, un monopattino rosa e un sacco di braccialetti di gomma.
Maddalena è alta, molto forte e molto "fisica".

Maddalena è l'amore di Roo.
E, forse, viceversa.

Il loro amore è un misto di spintoni, risate, giochi, condivisione di chupachups appiccicaticci, gusti gelato, malattie esantematiche. Come tutti gli innamorati sembrano sempre ad una festa da cui il resto del mondo è escluso.
Lui la invita a fare una corsa, lei gli chiede di spingerla sul passeggino, lui le spiaccica il gelato sulla maglietta, lei gli ordina di saltare giù da un muretto alto, insieme si buttano per terra, insieme vanno in monopattino, insieme parlano con Alex e poi lo picchiano.

Come in ogni storia che si rispetti, anche in questo caso, l'amore porta a migliorarsi, a superare i propri limiti, a diventare più grandi. Ad esempio, lei da lui ha imparato a sporcarsi in un modo che sua mamma non aveva mai creduto possibile, lui a scendere di faccia dallo scivolo, lei ha imparato a grattuggiarsi le ginocchia cadendo dalla bici per andare forte come lui, lui a mettere le cannucce dell'Estatè nel naso, lei ha imparato a comunicare al mondo ogni suo movimento digestivo, lui a fare la capriola in avanti.

Lei potrebbe chiedergli qualunque cosa.
Quindi, ne approfitto.
Maddalena, tesoro, potresti convincere il tuo ragazzo a liberarsi del pannolino?
Grazie, non lo dimenticherò.
Tua suocera.

To do/to learn list (I recommend getting your heart trampled on to anyone)

E niente, c'è che spesso faccio dei gran casini da sola.
Me la canto e me la suono, in un clima da "tutto il mondo ce l'ha con me" che, fondamentalmente, non mi dona per niente (cit.), a differenza di alcuni vestitini che invece sì, macheccentra.
E poi tocca verificare che non sia affatto vero.
Quindi visto che sono abbastanza giovane da poter ancora cambiare, ma anche sufficientemente vicina ad una vecchiaia che intravedo sul fondo, e che non vorrei passare da bacucca a depennare da una lunga lista tutte le persone che mi hanno fatto del male, aggiungendo accanto ad ogni nome i "punti-dolore" tipo stellette del gradimento, forse è il caso di farsi un esame di coscienza e stilare una piccola lista di cose da imparare.
Eccola:
- capire davvero che siamo tutti diversi e che la stessa cosa fatta da uno o da un altro può assumere connotazioni differenti
- concedere quantomeno il beneficio del dubbio
- non farsi prendere dal delirio persecutorio
- spiegarsi
- ascoltare, che pare facile, ma oh...
- imparare a usare il ritocco fotografico di photoshop e i tacchi alti, ma questo è un altro discorso.

15 giugno 2011

Il "niente" delle donne

- Cosa c'è?
- NIENTE.
- È uno di quei "niente" ripieni di un mondo che non posso capire?
- Mpf.
- Dai dimmi cosa c'è.
- Nien-te.
- Lara?
- Uff.
- Dai... Spara.
- Niente...Non lo so... Piove (oppure fill-in-the-blanks-qualsiasi cosa assurda).
- E quindi?
- Tu non stai facendo nulla.
- Cosa vuoi che faccia, sentiamo...
- Non lo so, se lo sapessi lo starei già facendo io e non dovrei prendermela con te.
- La pazienza che ci vuole...
- 'mbè?
- Stai lì nel tuo brodino, ne parliamo quando sfiammi.

Qui mi si conosce.
Qui mi si sa prendere e non prendere.
Scene di vita quotidiana.
I "niente" che sfodero io, completamente privi di senso, sono da competizione.

Ho tirato scemi un bel po' di ragazzetti con 'sta cosa. Andavo avanti ore. E davvero non c'era niente. Ma nella domanda secondo me era già contenuto che qualcosa ci doveva essere. E quindi passavo quei tempi morti a cercare qualcosa da dire alla fine di tutto quello sfinimento. Lo facevo per loro, ovvio - che bella persona che sono - cioè dopo tutto il loro sforzo di comprensione non potevo certo deluderli.
Lui no.
Lui al primo niente richiede.
Al secondo sbuffa.
Al terzo glissa con un elegantissimo "ok, perfetto". E si comporta come se niente fosse, mentre io, ignorata, schiumo rabbia. Poi mi passa.

Eppure ciclicamente torno all'attacco.
Meccanismi psicologici effettivamente strani. Aggiungiamolo all'elenco.
Ma non sono sola vero?

14 giugno 2011

Indelicatezze - sottotitolo: non sono di gomma

Ritengo di essere una persona attenta agli altri.
Cerco di non fare del male, di evitare gaffes, di non dire cose che potrebbero ferire, anche se sottoforma di battuta.
Solo che poi arrivo a un certo punto che mi rendo conto che simili accortezze sono solo da parte mia.
E che la gente con me sbaglia spesso e volentieri tempi, modi, parole, silenzi, gesti.

Parlando da sola, ho sempre perfettamente idea di quale sarebbe la frase giusta in risposta alle mie. Pongo domande elicitando risposte che non arrivano. E mi chiedo perchè tra mille modi possibili di dare una stessa risposta, per quanto diversa da quella che vorrei, venga scelto quello più crudo.

Spesso le persone mi indirizzano verso qualcosa che mi colpisce duro, portandomici per mano, proprio così, spontaneamente.
Dovrei scrivere sceneggiature e distribuire copioni da mandare a memoria, il bugiardino per la Lara-gestione, perchè la gente con me sbaglia.
E sbaglia alla grande.
Parole che escono leggere e si appoggiano come calci sugli stinchi, gesti distratti che sembrano schiaffi, espressioni sbagliate, dettagli non curati. Gente che non si fa i cazzi suoi, uh, di questa poi è pieno il mondo.
E allora mi stanco. Mi stanco degli egocentrismi talmente grandiosi da non accorgersi del mondo circostante, di cui io non solo faccio parte, ma in quel momento, in quell'interazione, sto anche ricoprendo un ruolo centrale.

E quindi il primo che mi capita a tiro lo faccio nero a suon di tutte le indelicatezze che ho subito, a espiare colpe che non necessariamente sono sue, povera vittima di una carnefice sfinita.
Oggi sono una iena.
E hai voglia a dire "ok, io avrei detto/fatto/agito diversamente ma non importa".
Importa.
Perchè certe parole, certi gesti, e anche certi silenzi sono così aggressivi che fanno male.

E allora mordo.
O meglio, parlo.
Volutamente stronza.

O magari non parlo proprio, che nel mio caso è anche più strano.
Sono Jeckyll e sono Hyde.
Oggi decisamente Hyde.

13 giugno 2011

Ero una brava mamma prima di avere figli (cit.*)

C'è un prima.
Un momento della vita in cui guardavo i passeggini sorridendo, cercando di ritrovare in quei bambini paffutelli qualcosa dei loro genitori al seguito, e di capire in cosa e quanto i miei figli futuri sarebbero stati simili a me e in cosa a Lui.
Un momento della vita in cui immaginarmi mamma era semplice, io ero quella dei cataloghi Prénatal, bella, sorridente, in forma smagliante, e con un bambino o due altrettanto belli e sorridenti.
Fantasticavo, allora, su pomeriggi sdraiata per terra, con intorno un mare di giochi, di pastelli, di fogli su cui disegnare il mondo a misura dei miei figli, con le dita sporche di tempera e pennarelli gialli. Mi sognavo sempre contenta, sorridente, felice, con il tono giusto - quello di una carezza, mai arrabbiata, perchè i bambini di quei miei pensieri erano bambini buoni, silenziosi, gentili (e che dormono di notte), in una parola: finti.
Ipotizzavo di godere del tempo con loro, di passare loro l'immagine di una vita sempre sulla cresta dell'onda a fare mille cose, a inventare mille giochi di fantasia, a leggere storie che loro sarebbero stati ad ascoltare, sempre con l'energia al massimo - la stanchezza? cos'è? - e col sorriso sulle labbra.
Pensavo che con i bambini non puoi sentirti sola, ci sono loro a riempirti il mondo.

Poi.
Eccoli lì.
Meravigliosi.
Diversissimi da come li immaginavo, eppure così delicati nelle loro somiglianze a noi, così diversi tra di loro, così diversi da noi, eppure sempre con qualcosa che richiama un atteggiamento, un'espressione, una linea, un gesto, un modo di fare, mio o Suo.
Stupendamente imperfetti, di quel genere di imperfezione che diventa il loro tratto forte, e che ti ritrovi ad amare in un modo talmente incondizionato che mai.
Però.
I cataloghi Prénatal? Ecco no.
Dopo 5 anni e passa dal primo parto riesco ora a ritrovarmi nel mio corpo (che comunque è cambiato davvero molto), ma ho passato la fase "esco in tuta con la pinza nei capelli e senza trucco" che mi chiedo come Lui abbia potuto riconoscere in me quella degli anni prima. E a restarmi accanto.
Per terra a giocare ci passo tanto tempo, a disegnare animali (benino), persone (molto meno bene), macchine e moto (ehm.. ecco... no - chiedete a papà), a costruire case con i lego, fattorie di playmobil, a leggere storie che ascolta solo uno dei due - a turno - mentre l'altro si lamenta, a svestire barbie rapate a zero nell'ultima fase polemico-tricotica di Lee, a colorare con le tempere, coi pennarelli, pastelli a cera, la qualunque, a insegnare a scrivere, ma soprattutto a dirimere conflitti tra i due.
Chè i miei figli litigano, si scannano, poi fanno pace, poi si amano alla follia, poi tirano fuori cose che ti chiedi dove le abbiano sentite e ci resti di sale, e cerchi di spiegare, di capire, di educare, e loro si offendono, e poi si agitano, e non dormono, e non mangiano, e la casa è un disastro, e la lavatrice non smette mai di andare, e hai millemila chili di cose da stirare, e cucinare, e tutto quanto.

Prénatal è lontana anni luce (che cazzo c'avrà quella lì da ridere?).

Ho sbagliato, e sbaglio, tanto. Tutti i giorni.
Piccole cose ma con il mio codadipaglismo congenito e con il senso di colpa che mi accompagna dal taglio del cordone ombelicale in poi, non autoprocessarmi è dura.
A volte ho un tono di voce che non mi riconosco, metallico, tagliente, crudo, e poi per ovviare improvvisamente melenso e dolce (penseranno di vivere con una squilibrata), perchè certi pomeriggi di pioggia, chiusa in casa con due bambini che litigano, ecco, certi giorni io vorrei essere da un'altra parte, con l'aggiunta della frustrazione del non poterlo fare.
Una non lo sa quanto ci si può sentire soli con due bimbi in casa.
Non sei mai sola eppure sei così sola (e sòla, anche).
Le amiche non le vedi mai abbastanza, perchè anche loro trafelate come te a infilare nell'ordine giusto delle loro vite figli-mariti-lavori-case-restodelmondo, e il sogno proibito in realtà è vedersi da sole al netto di tutto, a ricordare i tempi andati e a chiedersi se era così che immaginavamo le nostre vite.

Sì.
Era così che immaginavo la mia vita.
Solo che nei pensieri che facevo prima, ecco, non avevo inserito abbastanza fatica.

Ce la metto tutta.
Sbaglio tanto.
Poi mi correggo.
Consapevole che non sarà l'ultima volta.


* il titolo del post cita il nome di questo blog http://erounabravamamma.blogspot.com e omonimo libro.

12 giugno 2011

Tra tutti gli altri li ho riconosciuti

Ci sono convinzioni che non si capisce bene da dove nascano. Lui è convinto, ma convinto davvero, che a me non piacciano i fiori. Forse si tratta solo del classico ragionamento tipicamente maschile, col senso pratico stampato anche sulle tshirt, di chi pensa che non abbia senso regalare qualcosa che dopo una settimana muore.

- Cosa portiamo per il pranzo da S.?
- Fiori e vino, che vanno su tutto.
- Vedi, è così semplice con gli altri. Peccato che a te non piacciano, i fiori.
- @#?"%&?!?

Uso personalistico del mio blog, del resto è mio, sicchè...
Mi piacciono i fiori.
Non tutti, eh, tanti mi fanno impressione, sono così "naturali"... E non di tutti i colori.
Quindi segna.
No gigli, no lilium, no iris, no qualsiasi fiore più grande di una pesca (metodo scientifico, eh).

Quindi:
Tulipani gialli.
Rose bianche.
Margherite, del loro colore originale.
Narcisi.

Ma soprattutto, peonie.
Peonie come se piovesse, bianche o rosse.
Hanno la forma che avrebbero i diari se fossero fiori.
Sono perfette.

10 giugno 2011

Libertà è partecipazione

Referendum 12-13 giugno.
Si va a votare.
Unico strumento di democrazia diretta il referendum, il lavarsene le mani non è assolutamente contemplato.

Vuoi abrogare? Voti SI. Non vuoi? Voti NO.
Ti stanno tutti sulle palle? Fai disegnini volgari sulla scheda, o magari ti sforzi un attimo e butti giù una frase tua.
Hai perso-le-parole-eppure-ce-le-avevi-qui-un-attimo-fa? Lasci la scheda bianca.

Ma non andare per non far raggiungere il quorum è un atto veramente basso, dai...

Io vado.
Io voto.
Io voto SI.
Per 4.

9 giugno 2011

Più di Di Caprio Re del Mondo in Titanic (soprattutto considerata la fine che ha fatto - ma poi, Rose non poteva fargli spazio sulla porta? Ok, ne parliamo in altra sede)

[Maglietta subito]

"Se sopravvivo anche al 2011 governerò l'universomondo.
Sallo".


LaStellaDellaSenna, via Skype

8 giugno 2011

Eccessiva

Io sono quella che una dozzina di anni fa disse: "Le mail? Che cazzata. Vuoi mettere con il romanticismo di una lettera cartacea?". Due giorni dopo non mi staccavo più dalla tastiera del computer, intenta in una nuova corroborante corrispondenza pluridirezionale (amiche, amici, flirt, ex, colleghi, universomondo), con il gusto di ricevere la risposta entro qualche ora o anche meno e di poter ulteriormente replicare. Dipendenza da schermo di pc, tunnel carpale da digitazione furente, refresh continui, e il godimento di vedere la scritta "posta in arrivo" in grassetto con il numero di nuove mail tra parentesi. Io grafomane incallita, con la dipendenza da cartolaio di fiducia, mai più usato una penna in vita mia. O quasi, per rarissime e preziosissime eccezioni.
"Ma non dicevi le lettere cartacee?" "Mpf".

I cellulari.
"Sai che ppalle... che gusto c'è ad essere rintracciati ovunque, io non capisco". Due giorni dopo diventavo gemella siamese di un telefonetto (sì, oddio, telefonetto si fa per dire, era grande quanto un citofono e pesava nove chili ma comunque), costantemente impegnata in una conversazione, e che emozione quando suonava ed era proprio la chiamata che aspettavo, e che ppalle mia madre e i suoi allarmismi sulle radiazioni (eh?) che mi danneggiavano il cervello. Quando poi ho scoperto i sms la mia vita per come era stata fino a quel momento finì: il pollice opponibile che improvvisamente si rendeva più utile che mai e digitava messaggi perfetti (no, abbreviazioni, no k, spazi dopo le virgole - roba finissima) da diramare a destra e a manca. La rotondità perfetta di un sms ben riuscito era meglio di qualsiasi chiamata, e questa cosa la penso ancora, anche perchè scripta manent e il bello in fondo è poterli rileggere.
"Ma tu non eri quella che il telefonino no?" (oh, i grilli parlanti che c'ho avuto io intorno nella vita, nessuno mai). "Mpf".

Ho migliaia di esempi così: il sushi, la piastra per capelli, lo smalto, i rollerblade, il two-minutes make up, la qualunque.
Tutte cose che in principio "ma io no, mai", e poi sono diventate manie cicliche.

Ora: la corsa.
Ho iniziato scazzata, ho continuato scettica, ho proseguito contenta e ieri ho corso sotto la pioggia.
Io.
Corso.
Sotto la pioggia.

Sono un'esaltata. Sono un'eccessiva. Sono una maniaca. Fermatemi, o di 'sto passo a novembre vado a New York. Per il motivo sbagliato intendo, cioè non per lo shopping tra la Quinta e la Madison.

7 giugno 2011

Di genio, ambizioni e fortuna

Il film è Amadeus di Milos Forman. Capolavoro, a parte i nomi americanizzati che non avevano alcun senso, ma poca roba.
E niente, c'è questa scena in cui Salieri  compone una marcetta di benvenuto per l'arrivo di Mozart alla corte dell'imperatore, al solo scopo di far colpo su quest'ultimo. Ci riesce dopo svariati tentativi e ancor più "sudate carte", e quando finalmente gli sembra di aver cavato fuori qualcosa di buono, si rivolge al Signore (a cui ha dedicato opera, vita e castità) e lo ringrazia dopo un sospiro liberatorio e con gli occhi quasi commossi, "grazie Signore", ma anche con la sicurezza di chi ritiene che sia semplicemente giusto che il Signore sia dalla sua, voglio dire, con tutto quello che ha immolato sul suo altare...
In realtà la marcetta è piuttosto banale e oltretutto violentata dalle scarse doti musicali dell'imperatore che la suona al posto suo, e si vede che Salieri pensa "lo possino, 'sto deficiente", ma è l'imperatore quindi zitto e mosca. Arriva Mozart e dopo un breve scambio di battute si siede al clavicembalo per suonare a memoria la marcetta a lui dedicata, nello stupore generale, "ma come!? dopo un solo ascolto?", "ci sarà un motivo se questo film è dedicato a me e non a voi, no?".
Ma non si limita a questo, no, sarebbe troppo facile e troppo poco umiliante per Salieri. Riprende la marcetta in alcuni punti deboli e trasforma questa cosa banale e ritrita in quella che diventerà l'aria "Non più avrai" de Le Nozze di Figaro, con tutto il suo brio, i suoi fuochi d'artificio, e le variazioni che non ti aspetti.
Stacco - scena successiva. Salieri in camera sua che si rivolge al Signore, stavolta con sarcasmo e ribadisce "grazie Signore" (laddove avrebbe volentieri tirato giù due santi).

"D'ora in poi noi saremo nemici, Tu ed io. Perché Tu hai scelto quale tuo strumento un vanaglorioso,  libidinoso, sconcio, infantile ragazzo, e a me hai donato soltanto la capacità di riconoscere la tua incarnazione". (Salieri, rivolgendosi a Dio, che gli ha preferito Mozart)

Salieri era antipatico, vanesio, egocentrico, ambizioso e quel che è peggio scarsamente dotato.
Però io per lui provo una gran tenerezza. Che ci vuole una gran nobiltà d'animo per applaudire il successo altrui, che avviene magari senza fatica, in modo naturale, per nascita, per destino, proprio in quella cosa in cui vorremmo tanto essere noi sul gradino più alto del podio.
A volte avviene proprio per talento, e allora che fai? Lo ammetti di non averne altrettanto, e ti chiedi perchè, e ti dici che magari puoi migliorare, e che ti impegnerai per riuscirci, ma nel frattempo sei capace di applaudire? Oh, io ci provo ma non è che mi riesca sempre. Dipende da cosa riesco a mettere sull'altro piatto della bilancia, per ridipingere la mia vita coi colori giusti a prescindere dalla mancanza di quella cosa lì, di quel talento lì. Ristrutturazione cognitiva, che in certi momenti fa tanto "la volpe e l'uva", certo.

Il destino, il fato, la fortuna o la sfortuna, chiamiamole come vogliamo, sono le vere botte di vita.
Che qualcuno ottenga quello che vuoi per una di queste cose, ecco, questa è davvero la cosa difficile da superare, da applaudire, da ammirare, perchè non c'è alcun merito ma solo culo, contingenze astrali, strade e tempi giusti.
E lì non c'è lavoro che tenga, non c'è un metodo, un sacrificio, una qualunque cosa che si possa realmente fare perchè le cose cambino. È il destino che ci ha messo del suo, e tu puoi solo chiamarla "sfortuna".
E certi giorni la riesci ad affrontare e altri giorni hai bisogno di un sacco da boxe da picchiare duro, per buttare fuori rabbia e frustrazione, ma sempre di destino-fato-fortuna-sfortuna si tratta, e quindi niente, non si supera.

Certi giorni ci vuole una grande levatura morale per riuscire ad applaudire il successo altrui.
Ecco, io non ci riesco sempre.
Io certi giorni sono proprio Salieri.

Fortunatamente altre volte sono decisamente Mozart.
Ma del resto, chi non.

6 giugno 2011

Father & son

- E poi tra qualche settimana vai al mare...
- Lo sai che a mma(r)e si va coi b(r)accioli?
- Sì, tu e Lee andate coi braccioli, certo.
- Anche la mamma.
- No, Roo, la mamma no.
- Perchè ha le tette, ve(r)o?
- Se fosse solo per quelle, metteremmo i braccioli anche a lei.


Applausi, a prescindere.

4 giugno 2011

Milanosonotuttatua

Quella storia delle due categorie (ci sono sempre due categorie in cui dividere le cose), di chi cammina per arrivare ad una destinazione e chi per il gusto di farlo. Se si tratta di camminare in montagna io frigno tutto il tempo, mi annoio, sbuffo, mi lamento e non vedo l'ora di finirla e di arrivare (e chi è con me di conseguenza).
Ma se il contesto è quello urbano posso proseguire per ore.
Adoro perdermi a Milano.
Che poi non è mai un perdersi del tutto, perchè prima o dopo c'è sempre un riferimento, un posto dove sono già stata o già passata, un ricordo che torna a bussare, e da quel momento l'orientamento è facile.
Adoro partire da una delle grandi strade che tagliano la città a spicchi, una di quelle direttrici che partono dal centro e portano verso fuori, per poi perdermi nelle vie poco battute scelte a caso, le stradine, i vicoli, quelli a cui non daresti due lire e invece ti regalano sempre uno scorcio, un palazzo molto bello, un cortile di quelli che Milano è bravissima a tenere segreti con il verde onnipresente e curatissimo, un angolo di eden in pieno cementificio.
Sorprendermi a constatare quanto sia cambiata, "ma qui non c'era quel negozio...?", e soprendermi di quanto sia sempre uguale. Scoprire nuovi negozi che vendono proprio quella cannottierina bicolore che volevo, e finire a soffermarmi più sulla struttura architettonica che sul contenuto, "chè questo sembra il posto perfetto per farci una casa. E che casa".
Individuare nelle vetrine le cose che sì (le camicie con le maniche a tre quarti, i vestitini pseudo-bon ton, il monospalla disinvolto e casuale di dimensionedanza) e le cose che no (le scarpe, in toto - parliamone).
Camminare e sistemare i pensieri, e parlare un po', e guardare i cartelloni pubblicitari di Armani, giganti, in bianco e nero, perfetti.
Le colonne di San Lorenzo che esistono anche di mattina (maddai?), le vie con il porfido a lastre grosse, i musei che aprono troppo tardi ma meglio così, i ricordi che Milano custodisce al posto mio.

I chilometri fatti nel contesto giusto non mi bastano mai.

2 giugno 2011

Ooops, I did it again

Ho corso.
Ancora.
Meglio.
Che brava.
Ma...
Qualcuno mi spieghi... È normale che alla fine della corsa l'unico dato che mi interessi sapere sia quante calorie ho bruciato? Ed è normale che, dopo aver appurato di averne perse un bel po', io valuti di fermarmi in pasticceria sulla strada del ritorno, per scegliere quale delizioso pasticcino le reintegrerà? (mica che mi venga un calo di zuccheri, eh, vorresti mai)...

Ecco, cosa mi manca: l'atteggiamento giusto nei confronti del sacrificio nutrizionistico per il fine supremo della forma fisica.
O forse io ho capito tutto e manca a tutti gli altri, ora valuto.

1 giugno 2011

Madeleines

La marmellata di arance sul pane tostato: per me è sempre il mese a Chester, mese di camminate chilometriche, di inglese anche nei sogni, di chili persi alla velocità della luce, di quel maestro, Micheal, che ci ha fatto innamorare tutte "I like you the way you are"; è il mese delle prime birrette che fan girar la testa e della prima volta che ho pensato, con la violenza di una diciassettenne, che il posto in cui vivevo mi stava stretto.

Il pane col cioccolato fondente, merenda dalla nonna nei pomeriggi di lavoro di mamma, io e mio fratello su quel grande divano col gatto di turno, e la nonna, e le sue lezioni, e le sue bugie, e i suoi ricordi.

Milano in questi giorni ha vissuto un clima da vittoria ai mondiali, con quel senso di "ci vogliamo tutti bene" e quel ritrovare negli occhi degli altri le stesse sensazioni di soddisfazione e di liberazione, dopo tanto faticare. E anche questa è una madeleine, e torno bambina nel 1982, e c'erano quei caroselli di macchine che ora non esistono più, le 127, le alfetta, le ritmo, le 112, o i motorini ciao e i bravo, e io mi ricordo che era tardi e io ero piccola e sarei dovuta essere a letto se non fosse che i miei genitori, giovanissimi, volevano festeggiare, e allora tutti giù in strada, con la bandiera tricolore in mano a salutare la gioia negli occhi di ogni passante.
(Sì lo so che abbiamo vinto anche nel 2006, ma la sboronaggine dei festeggiamenti mi ha tolto quel gusto pulito e sportivo che per me resterà legato sempre ai primi mondiali vinti che ho visto coi miei occhi).

Le canzoni.
Le canzoni sono madeleines di dimensioni colossali, ognuna col suo carico di ricordi e di eventi, e di persone che erano con me al momento che.
E allora c'è quella della gita in Germania, coi lenti ballati con l'olandesino che "ti amo" ma chi l'ha più visto.
Quella che ballavo in discoteca ed era proprio la mia canzone, e lo sapevano tutti.
Quella per svernare la fine della storia con PrimoAmore, che è ancora legata a quel periodo lì (novantaminuti di nastro, con la stessa canzone registrata ad oltranza, poi dite il sistema nervoso a pezzi...).
Quella dell'ultimo Natale in ufficio, che è solo il posto in cui lavori, ma improvvisamente ti rendi conto che a quelle persone vuoi davvero bene, e che fa un po' famiglia preparare insieme lo spazio per la festa, e fa anche un po' capodanno-dei-15-anni-ho-la-casa-libera-tutti-da-me, e il giorno dopo si è un po' più vicini, più amici, più complici.
Quelle dei saggi di danza e dell'adrenalina prima di uscire sul palco.
La musica classica che per me ha il volto della mia insegnante di piano e quelle infinite lezioni a prendere cazziatoni dall'inizio alla fine, e mai un "brava", ma che bello che era.
Quelle, tutte, del periodo jovanottiano, un'epoca talmente felice e inconsapevolmente perfetta che ogni volta è un sorriso e una stretta al cuore.
Una canzone per ogni momento, madeleines come se piovesse.
Non mi sorprende che nei periodi no la prima cosa che elimino sia la musica.

La pioggia sulla pelle è quella volta che è scoppiato all'improvviso un temporale, e tutti che correvano a ripararsi, tranne io e A., perchè stava già uscendo il sole, ed era bellissimo sentire il caldo dei raggi sulla pelle insieme al freddo dell'acqua. E ridevamo come due sceme, ed eravamo amiche amiche amiche.

La vera botta, però, la danno i profumi.
L'olfatto è il senso che ha più memoria.
Quindi: Zino Davidoff blu in metro e io non capisco più niente, il profumo del pane appena sfornato e io sono in Corsica in vacanza l'anno della maturità, caffè che ribolle nella caffettiera (e a me capita piuttosto spesso) con quell'odore che passa da buono a nauseabondo e io ricordo un monolocale e i nove esami dati in un anno chè "la dobbiamo proprio finire quest'università, eh".
Ogni ragazzo il suo profumo, di dopobarba, detersivo, ammorbidente o chissà che altro. Ogni tanto qualcuno torna, per merito non si sa di chi o che cosa. Una folata di vento, e zac! eccolo lì, eccoci lì.
Tutti tranne uno.
Uno che un giorno di notte mi ha detto "non te lo dico che profumo è, altrimenti non vieni più qui ad abbracciarmi per sentirlo su di me". Ma un giorno o l'altro capiterà che in giro per strada qualcuno che usa quello stesso profumo, detersivo, ammorbidente o chissàchealtro (il pH?) me lo riporterà.

E io annuserò il ricordo e sorriderò, con una stretta allo stomaco, di quell'immensa ed intensissima madeleine.