31 maggio 2011

Sposa




Sarai bellissima.

Fai un bel respiro e goditela perché la giornata vola e non torna più e non sarai più bella come quel giorno, davvero mai più, é un giorno speciale il tuo, il vostro, sarete stupendi, starete bene, devi godertela, devi sentire l'affetto tangibile intorno a te, devi sentire le persone che ti vogliono bene, devi avere la forza di pensare a quello che stai provando in ogni momento, devi sentire cosa provi mentre percorri quel corridoio con il tappeto rosso sotto le scarpe bianche e nuove, e 240 occhi puntati addosso, e ci sei tu e c'é lui là in fondo, e l'organo e Mendellsohn e i brividi sulla pelle, e tuo padre al braccio, e le gambe che tremano, ma lo sai che sei bella e sai che ci vuoi essere, devi sentire quando arrivi lì, gli occhi addosso del tuo amore, che ti dice che sei bellissima, con quella voce lì che non te lo dirà più così, proprio così uguale uguale non te lo dirà più, e poi tutti sorrideranno e piangeranno e saranno commossi, e tu stringerai forte nelle mani il bouquet come ad aggrapparti a quello per non cadere, perché la testa gira, ma devi sentire anche quello che la testa gira, perché poi si comincia, comincia la cerimonia ed é la vostra, e ci sono i vostri nomi sui libretti, sei seduta all'altare accanto al tuo uomo, e finalmente sta succedendo il sogno, e poi tu parli e poi parla lui, e lui pronuncia la formula, e poi prende l'anello e tu devi sentire quando scorre sull'anulare sinistro dopo essere passato dalle sue labbra, perché quell'anello é uno, e quelli non sembrano quattro grammi di oro, perché in quei quattro grammi c'é dentro il sogno di una vita, e la tua mano, quella mano non é mai stata così bella, tremolante ed emozionata, lo devi sentire, devi sentire tutto, devi sentire anche te stessa mentre parli, come se ti sentissi da fuori ma senza perderti di vista, devi sentire anche cosa ti succede dentro, é come essere sottacqua che senti solo la tua voce e tutto amplificato, e poi lui ti guarda tu lo guardi, c'é un sorriso, un bacio, no, c'é quel bacio, quello di quel momento lì, e l'applauso, che siete marito e moglie, marito e moglie, che poi i giorni dopo ti farà strano dire "é mio marito" e ti verrà da ridere, o da sorridere, oppure ti sbaglierai e dirai ancora il mio "fidanzato", perché é stato un sogno o così é sembrato, e invece é successo tutto e sei uscita dalla chiesa e c'era il riso e i petali di fiori, e lui che ti protegge, e la gente che sorride e tutti intorno, contenti come te, a dirti che sei bella, e lì non senti più niente, non capisci più niente, senti questo affetto intorno, e sei troppo felice, ma sei anche felice perché hai sentito tutto.

Trabocchi di emozioni ma hai sentito tutto. Tutto.

Questo è il mio augurio: di sentire tutto nel primo giorno della tua nuova vita. E in tutti quelli, meravigliosi, che seguiranno.

(grazie, Zù)

30 maggio 2011

Un giorno, due mesi, sempre

"Per me fu un giorno memorabile, perchè mi cambiò molto. Ma in ogni vita succede lo stesso. Immaginiamo un giorno a scelta isolato dal contesto e pensiamo a come sarebbe stato differente il corso della vita. Fermati, lettore, e rifletti a lungo sulla lunga catena di vil metallo o oro, spine o fiori, che non ti avrebbe mai legato, se non fosse stato per la formazione di quel primo anello in quel giorno memorabile".

Charles Dickens - Grandi Speranze

29 maggio 2011

5 giorni (ma non quelli di Zarrillo, altri 5)

5 giorni che non vedevo Lee e Roo.

5 giorni e sembrano più grandi.
5 giorni e hanno imparato cose che prima no.
5 giorni e hanno creato un linguaggio tutto loro di cui l'intero paesello familiare è al corrente, tranne noi.
5 giorni e sembrano più indipendenti. E più uniti.
5 giorni e hanno acquisito quell'accento emiliano che anche il loro papà non ha mai perso: quello delle vocali chiuse dove in Lombardia sono aperte, e viceversa; quello della z morbida e di quella variazione lunga sul finale delle frasi.
5 giorni, Roo ha imparato a dire la erre: non sempre e non benissimo ma ogni tanto si confonde e ci riesce.
5 giorni che mangiano li meglio manicaretti di terra emiliana. Secondo me, da domani iniziano lo sciopero della fame, minimo.
5 giorni, Lee è diventata ancora più grande. E, sembrerebbe, meno fissata coi vestiti (ne riparliamo domattina, comunque).
5 giorni che stanno fuori di casa dalla mattina alla sera: a Snobville si sentiranno in gabbia.

Si ricomincia il solito tran tran coi i bimbi più grandi di 5 giorni senza noi.

Chissà se in 5 giorni hanno pure imparato, che so, a svegliarsi alle nove di mattina...

27 maggio 2011

Ne voglio ancora, anch'io


Sarà che a Milano è improvvisamente novembre, che io ho ascoltato Guccini, e che c'è sempre quella solita simpatica questione della spm, ma oggi è così. E dai, onestamente, era proprio un bello spot, ringraziando gli Smiths, certo.

26 maggio 2011

Pillola di saggezza

 [Maglietta subito]

"Se trattieni la pancia non è "amico": è flirt".

25 maggio 2011

Appena un filo meno di Carl Lewis

Lui torna (tardi) e io sono già lì, in piedi in mezzo al salotto, pronta per andare.
Tuta Adidas nera con le classiche 3 righe bianche laterali.
Scarpe Adidasqualcosa, da corsa seria, intonse.
Canotta nera.
Il total-black non mi è mai fuori moda. Anche quando si va a correre.

- Ammazza, quanto sei professionale prima di partire.
- 'mbè?
- Vorrei solo farti notare che le scarpe te le ho comprate io, la tuta anche e la maglia pure. Che se aspetto che ti compri da sola dell'abbigliamento sportivo...
- Che brutta parola... Senti, ma devo mettere l'antizanzare?
- Naaa, quando le zanzare ti vedranno saranno talmente confuse da non capire più niente. Aspetta... (e mi sporca la punta delle scarpe con le sue). Così sei più credibile.
- Mpf.
- Dovrebbero davvero applaudire al tuo arrivo.
- Se non lo fanno è perchè sono tutti invidiosi.


E quindi andiamo a correre.
Andamento lento.
Ecco, molto lento.
Lui riesce a parlare tutto il tempo, mentre io rispondo con dei "mm..." "ahah" "sì" "no" "malimortà".
- Di solito non sei così silenziosa mentre ti racconto, dovremmo venire più spesso qui, mi ascolti, non parli, non mi dai contro, non ti incazzi. È meraviglioso.
- Mpf. Aspetta che finisco 'sta roba e poi te le ribatto tutte.
- Acceleriamo, dai, che ho capito "la prima scena di momenti di gloria", ma anche un po' meno moviola va bene.
- Dillo alla mia milza e al mio crociato destro.

40 minuti e 5 secondi.
Quei 5 secondi contengono la misura della mia perseveranza.
Cioè tra quando ho detto "dai, basta" e Lui "no, ancora un po'" e io ho continuato ancora un po'.
5 secondi.

(a casa)
- Hai visto come fa stare bene, correre? Come ti senti?
- Pulita.
- Quella è la doccia, Lara, non la corsa.
- Ah.

Ecco, io e la corsa. Un amore impossibile.

24 maggio 2011

Metrolandia

Le signore che quando si siedono in metro appoggiano il sedere proprio in fondo al sedile e i loro piedi restano a penzoloni nel movimento dato dalla corsa del convoglio, destra-sinistra-destra-alla velocità del treno.
Quelle dall'età indecifrabile che non sai se cedere loro il posto o meno, per paura che si offendano "che non sono mica vecchia, io".
Le ragazze in carne, con quella pancetta che non sai se sia bimbo o birra, che fai?
Le signore che chiedono il divorzio al telefono, ad un volume che tu ne faresti a meno.
I signori che puzzano di sudore alla mattina alle sette, che andrebbero studiati, io se fossi la neutroroberts ci penserei, se risolvi il loro problema diventi leader del mercato, sicuro.
La zingara con la scabbia che ce la mette tutta per attaccartela.
La coppietta che limona nella calca delle ore di punta, e non c'è modo di guardare altrove.
Le modelle, che incontri sistematicamente le mattine che ti senti una caccola.
Il cinese che parla al telefono tutto il tempo.
I modelli, che incontri sistematicamente le mattine che ti senti una caccola.
Quelli di cui parli male per ore a dieci centimetri da loro, salvo accorgerti che possono capirti perchè non sono stranieri ma bergamaschi.
Il violinista che non ce la fa. E non c'è niente di più lacerante di un violino che non ce la fa, per i nervi intendo.
Gli studenti di 35 anni con l'invicta rosso e blu, che ti viene voglia di dire "o la finisci o ti trovi un lavoro".
I tre, sono sempre tre, medio-orientali che parlano tra di loro, poi guardano la bionda scosciata, la indicano con un cenno del mento e tornano a parlare fitti fitti.
La compagnia di adolescenti con il più fighetto che lo individui subito anche perchè ha intorno tre ragazzine che ridono per ogni stronzata che dice, e altre quattro sedute che odiano le prime tre, ma a lui lo lovvano tutte quante.
Gli yuppies che non hanno ancora capito che Wall Street è da un'altra parte e Gordon Gekko è un'altra cosa, ma se la credono un sacco, ah se se la credono.
I finto-leoncavallini, sempre pronti per fare la colletta con in tasca i soldi di paparino e il Porsche parcheggiato in garage, ma "mi metto le Birkenstock e il pantalone di lino e faccio finta di essere un poveraccio", peccato che si accompagnano a chi poveraccio lo è davvero (molto Ovosodo a voler vedere).
La donna che si trucca, ce n'è sempre una, e poi il treno frena e le parte lo svirgolo di rossetto, e lancia improperi che stridono con l'immagine di signorabene che voleva dare.
Quello con le Allstar senza calze in luglio35gradi, che viene proprio a sederti vicino a te, e tu cominci a pregare che un raffreddore, o peggio, ti colga subito.
Quelli con la lampada sempre fresca, e il jeans sempre stretto con ventiquattrenne sempre magra al braccio, e "non posso portarti a casa da me, che c'è mamma". A 40 anni.
La scolaresca in gita che arriva tutte le volte che hai un principio di emicrania a Loreto (e un trapano nel cervello a Lima).
Quelli che pontificano sulle notizie che leggono sulla free-press e controllano intorno se qualcuno li stia ascoltando e se stanno andando forte o meno. Ecco, no.

E infine noi gine, che siamo tante o poche a seconda dei momenti, e siamo ovunque, che ci riassumiamo la sera prima, l'ultima settimana, l'ultimo mese, "ma da quanto tempo non ci vediamo?", e gli stati di avanzamento dei lavori, siano essi di casa, d'amore o di figli, sfoderando perle di saggezza metropolitana intervallate da versi di canzoni e sociologia dell'ovvio, circondate dalle altre persone che se la ridono sotto i baffi, anche quelli con le cuffie evidentemente spente, con quella voglia di raccontarsi tipica di noi donne, e quella parlantina galvanizzata dai sorrisi intorno a noi.

Oh, poi magari ci odiano, eh, ma non sembra.

22 maggio 2011

Cronistoria musicale di un distacco

Lasciamo i bimbi come detto e ripartiamo soli. Tempo di fare cento metri e io attacco già con la mia frignatina. Una cosa discreta, sommessa, che non mancherei di definire elegante.

Ma poi l'autoradio attacca con questa: come mi rimesta le budella Tiziano Ferro in questo periodo, io non me lo so spiegare. Ma comunque.
Mi si rompono gli argini e il mio pianto elegante va a farsi benedire. Ho 5 anni e non mi comprano la bambola che pattina. Ho N anni e Andrea mi ha lasciato, ne ho N+1 e poi N+2 e nomemaschile mi ha lasciato, ne ho 23 e credo di non aver passato economia politica.

Il fatto è che io non piango mai, a casa.
Credo che miei bimbi siano certi di due cose, che la mamma sia un'eccellente ballerina e che non piange mai. Per dire, le convinzioni.
E quindi una volta, una, che sono libera di farlo non è che sto lì tanto a contestualizzare e ad andarci giù per il sottile. E già che frigno ci butto dentro tutto, la lontananza dei bimbi, il tempo che passa, l'ultimo libro che mi ha tirato un pugno nello stomaco, il momentaneo sbilanciamento tra ricordi e progetti a favore dei primi, e perchè non sono un gatto, e mi manca la zia di Roma, e perchè ho smesso di suonare il piano?, e la distanza di alcune persone e una serie di altre cose dai contorni confusi, macheccentra, io non mi tengo più.

In un modo piuttosto teatrale e autocompiaciuto su questa credo di aver toccato il fondo delle mie riserve idriche.

- Credi di smettere intorno a Parma o continui fino a Piacenza?
- (sfigurata, tiro su col naso) Fino a Piacenzaaaaaa...
- È sindrome premestruale, vero?
- Nonnò.

Un po' alla volta mi calmo. Arrivano messaggi di amiche, telefonate di persone che chiedono un'ora in questa settimana children free. E tutto prende un colore diverso.

A Fidenza attacca questa, proprio mentre ricevo il messaggio di Sara che mi chiede se io mi sia mai realmente ripresa dalla chiusura del Rolling Stone (i sms da e per le mie amiche, un giorno ne parliamo). Bè, no, ovviamente, perchè qualcuno si è ripreso? Organizziamo al volo un aperitivo per lunedì, evvai.

A Melegnano c'è questa, poi questa e questa, con le relative madeleines di risate.
E allora mi dico che, dai, andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene.

- Hai trovato l'interruttore?
- Mpf. Tu non capisci, non sei sensibile come me.
- Mm... Certo.

Ho la settimana piena di affetti e parole.
Domani è lunedì e io non vedo l'ora.

20 maggio 2011

Ssssss...

Oggi non è una giornata da parole.
Oggi è una giornata da silenzio.

Chè le parole spesso sono sbagliate, invece i silenzi mai.
Perchè il silenzio, semplicemente, non è.
È qualcosa "a togliere", è qualcosa in levare, un vuoto, una pausa, un'assenza.

Quindi zitta.
Sssssss.

18 maggio 2011

Sondaggio: che faccio?

Mia suocera si è offerta di tenermi i bimbi tutta la prossima settimana.
In Emilia, da lei.
A 200 chilometri da me. Cioè, non dietro l'angolo, ma comunque.

Il posto è un incanto, lei cucina da dio, roba che i bimbi abituati alla mia cucina fantasia si leccano baffi, mani e piatti, non ci sono più pericoli di quelli che abbiamo sotto casa, anzi, è bambagia, è una bolla dorata, è un nido.

Mi ha detto "se vuoi io me la sento".
Il problema è che non so se me la sento io.

L'ho chiesto a Lee, ci vuoi andare? "Certo!"
L'ho chiesto a Roo, ci vuoi andare? "E cetto, eh!?"

Avanti, come si supera questa cosa del lasciarli andare?
Lasciarli andare con la suocera, che non è la mamma, intendo.

Che per inciso, poi lo so che me la godrei di brutto a fare la donna leggera al netto di passeggini, biberon, bicilette e monopattini, giorno e notte, e con l'aggiunta di musica, libri, relax, e una serie di altre cose, però al momento sono piuttosto perplessa.
Quindi?
Si prova?
O no?
Eddai...


ps: piano con gli entusiasmi, c'è il caso che mia suocera cambi idea tempo due giorni, eh...

17 maggio 2011

Il regalo giusto

Sul treno nel sedile dietro al mio c'è un ventenne che parla dei regali che farà alla sua ragazza per il suo compleanno e per il loro anniversario che cade poco più avanti. A parte il dubbio gusto dei regali scelti, parliamone, non si può non notare il fluorilegio di vocali strascicate e tutto uno slogare di polsi e un'inclinazione del collo palesemente gay.
Ho la tentazione di saltar su e dirgli che il regalo più grande che può fare alla sua ragazza, prima che lei inizi a fantasticare di altari e abiti bianchi, è il suo sincerissimo outing.
Lo farei per lei, ovvio.
Ma poi mi trattengo.
Mettiamo in conto che tra un paio d'anni, lui sarà a ballare al Gasoline e lei sarà una donna traumatizzata in più che finirà a rimpolpare le fila de "gli uomini sono tutti stronzi" ed è un peccato, e sarà anche un po' colpa mia.
E oltretutto avrà anche dei ricordi veramente pessimi dei suoi regali di compleanno.

16 maggio 2011

Le cose che avrei voluto mi diventassero familiari e invece / 1

Il conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Che mi ha visto arrivare da privatista a fare degli esami, non tutti eh, mica l'ho finito, di pianoforte.
Ma non mi ha mai accolto.
Onestamente: io non ho mai avuto il carattere giusto per poter realmente pensare di diventare una pianista. Troppo sommaria, approssimativa, troppo poco agguerrita.
Il sacrificio, ok, ma fino a un certo punto. Per riuscire avrei dovuto costruire il mio talento a tavolino, e questo avrebbe implicato un lavoro e una fatica che io non.
E la mia insegnante di pianoforte fu la prima a dirmi che il mio talento, casomai di talento si potesse parlare, risiedeva più nelle parole che nelle note, e quindi.

L'ironia del destino ha fatto sì che io studiassi all'università, in uno dei miei rotolamenti lungo le discese che la vita mi ha messo sotto i piedi, proprio di fronte al Conservatorio. Ogni mattina, in pieno l'erba del vicino eccetera percepivo la stridente sensazione tra ciò che avrei voluto fare e ciò che stavo effettivamente facendo.
In realtà poi non era così. Cioè io sono inquieta di fondo: quando sono dentro voglio esser fuori, in tutto. (la parola quandoseidentrovuoiesserfuorismo esiste? Ora esiste).

Le cose che avevo ieri mi sembrano sempre meglio di quelle che oggi. Poi se dovessi fare cambio, allo stesso modo mi ritroverei a rimpiangere quello che ho appena lasciato, come la cosa più preziosa al mondo.
Ci vuole del talento per essere così immaturamente volubili, faccio allenamento da anni, eh, una vita.

E quindi, niente Conservatorio.
Scienze politiche io.
Poi magari un giorno ne parliamo.

15 maggio 2011

Trasparente - (sottotitolo: effetti secondari del ferro da stiro la domenica)

È arrivata l'ennesima bomboniera di un'altra coppia che si sposa. Rapidamente svuotata dai confetti è rimasto solo l'involucro: è una scatolina di plexiglass trasparente, a forma di cubo, lato 6 centimetri, con il coperchio a ribalta. Per un'amante delle scatole come me si tratta di un piccolo gioiellino, che ho messo da parte prima che Lee cominci a vantare pretese di possesso: non se ne parla, è mia.
La guardo, me la rigiro tra le mani, piccolo prezioso cubetto senza colori.
A pensarci bene è completamente inutile una scatola in cui puoi vedere il contenuto. Le scatole servono per raccogliere piccoli grandi segreti, che te ne fai di una cosa che semplicemente ti separa dal suo interno, pur continuando a mostrartelo?
Ecco.
Io non ho ancora capito bene se sto dentro o fuori da quella scatola in vetro che racchiude la mia vita. Forse in uno strano equilibrio isterico tra interno e esterno.
Ogni tanto ho la sensazione di essere fuori, e di non riuscire a prendere e a toccare tutto quello che vi si trova dentro, pur vedendolo chiaramente, pur desiderandolo. Ci sono cose che se ne stanno lì, davanti ai miei occhi, apparentemente accessibili, e invece no, c'è un vetro, del plexiglass, una superficie trasparente su cui sbatto la faccia ogni volta che credo di poterne fare parte.
Altre volte invece ci sono dentro io. E tutto il mondo che sta li a guardarmi, e io vorrei nascondermi e invece niente, "non c'è neanche un angolo in cui tenerci il cuore e il mio territorio di libertà" (cit.) dove ti nascondi quando tutto è così trasparente? Non puoi, non riesci, anche se ne avresti bisogno.


...
Ok.
...
Avete letto?
Sapete come si chiama 'sta cosa?
È una malattia, io ce l'ho in forma acuta: la domenichite.
Grave ma breve.

(E domani avrò la lunedite, macheccentra).

13 maggio 2011

Non propriamente Marie Curie

Ore 5:45: in cucina, Lui sta preparando il caffè e io entro canticchiando una canzone di Tiziano Ferro di cui non ricordo bene le parole.

- E che la vita ti riservi ciò che serve spero... na na na na na na... ma perchè non so il testo?
- Ma come? È uno di quelli che sappiamo meglio...
- Sappiamo?
- Sono come Repetto, mi sento parte della cosa anche se non.
- Mi pare giusto, del resto anch'io sarò come Repetto quando tu spiegherai matematica ai nostri figli al liceo.
- E tu disegnerai intorno tanti bei fiorellini?
- Già.
- Ma non è vero Lara, tu sei portata per la matematica, solo ti manca la curiosità di capire la sua applicazione nelle situazioni pratiche.
- ...
- Ad esempio, quando tu ti muovi...
- Sono poesia?
- Sì, anche, ma ascolta: quando tu ti muovi stai facendo la derivata della tua posizione.
- Eh?
- Rispetto al tempo.
- Ah.
- Sì, in effetti questa forse devo approfondirtela meglio.
- Beautiful mind, lasciami sguazzare nel mio repettismo, che ci sto una meraviglia.
- E tu non scocciare con i testi delle canzoni.

Caffè.

11 maggio 2011

Ma non era "uno in ogni casa"?...

Roo ha imparato ad andare in bicicletta. E ha scoperto che è lo scopo della sua vita.
Tipo "Appuntamento a Belleville", ma un filo più ossessionato ancora.
La conseguenza di questo è che non prende in considerazione di fare nient'altro.
NIENTE.
ALTRO.

- Boyo andae sulla mia bicicletta (l'ha detto più o meno 300 volte stamattina).
- È preoccupante Lara: è fissato come me, e rumoroso come te. Siamo rovinati.

Insomma alla voce "monomaniaco delle due ruote" io me ne ritrovo due, per casa.
Celo doppio, insomma.
Faccio cambio con "persona silenziosa" o "madrelingua inglese".

Telefonare ore pasti, grazie.

9 maggio 2011

Le belle figure che io

Io ho dei pigiami meravigliosi. Tutti molto simili in realtà, variano solo per fantasia, ma il taglio è sempre lo stesso, pantalone maschile e maglietta aderente. Adoro.
Chi mi conosce sa che in qualsiasi negozio io entri, se ci vendono anche dei pigiami linea maschile, io uscirò con uno di essi.
Ultimo modello: pantalone verde mela con coulisse in sangallo bianco; bottoncini finti sul davanti (come se mi servissero a qualcosa - il taglio è maschile ma il resto è palesemente da donna); elastico in vita con bordatura a righine sottili lilla, bianco, rosa e verde mela; tasche. Il tutto abbinato a maglietta a costine stretta rosa.
Uno schianto.
L'ho messo, fierissima, e poi mi sono ricordata che avevo lasciato una cosa in macchina.
Che fai? Vorrai mica cambiarti, no?
No.
Esco così, col pigiama perchè, testuale "tanto non incontro mai nessuno, pare un palazzo fantasma".

E ovviamente.

Al piano-auto, c'è una specie di microriunione condominiale (che voglia c'hanno 'sti qui a parlare di condominio nel tempo libero, io non lo so), presenti 15 persone per un totale di 359,64 millesimi, neanche la maggioranza qualificata, sicchè.

Eccerto che hanno notato la mia mise, non era possibile non notarla, troppo bella.
Un crogiuolo di sopracciglia alzate, ma stiamo a Snobville, il sopracciglio alzato è uno status-symbol.

Invidia.
Non sono belli come me in pigiama neanche a tirali a lucido.
Io al posto loro avrei applaudito.

Familiarismi

Mi ricordo la prima volta che sono entrata a scuola.
O la prima volta in cui sono entrata in quella che sarebbe diventata la mia casa.
C'era quell'odore particolare, quello che noti al massimo per un paio di settimane e poi il tuo olfatto si assuefà a quelle note e non le percepisce più, quello è il momento in cui quel posto diventa davvero "casa".
Che poi, se ci torni sopra con la memoria, non sai individuare quale sia stato il momento preciso.
Sai solo che quell'odore non lo senti più: sei a casa.

Ripenso a tutte le volte che sono passata attraverso una prima volta. Fortunatamente tante, e ce ne sono sempre di nuove. Menomale.
La volta che sono entrata in quell'ufficio ed era tutto così lucido-bianco-cristallo-acciaio, e mi chiedevo quale posto di quello spazio così futuristico avrei colonizzato con il mio disordine, i miei colori, i miei mille post-it volanti.
La volta che ho fatto il mio ingresso all'università, e devo dire che per quanto io l'abbia frequentata poco, tornarci è comunque constatare un senso di familiarità, con le panchine in cortile, in attesa dell'ennesimo appello o dell'ennesimo risultato, e le stronze che ti vogliono interrogare per confermare la loro preparazione e ti fanno le domande più assurde per dimostrarti che no, non sai proprio tutto, "scusate starei prendendo il sole, grazie". Ricordo la paura del primo giorno lì dentro, il non capire la logica di distribuzione delle aule, e dove sta la libreria? e la biblioteca? e il bar? e poi, magicamente, casa anche lì.

La mia prima lezione di quella ginnastica, quella che poi ti insegnano a fare le acrobazie sulle diagonale come in tivù, e quell'odore di tappeti gommosi, e spogliatoio di bambine, e attrezzi, e calce.
La mia prima vera lezione di pianoforte, con colei che sarebbe diventata un'altra mia famiglia, e avevo paura, e quel pianoforte con quei tasti che non rispondevano al mio tocco come avrei pensato, e poi invece.
La volta che ho accompagnato Lee all'asilo, che c'era tanta neve così, e non sapevo dove mettere-appoggiare-archiviare le mille cose che ci avevano chiesto di portare, ora anche quello è familiare.
La volta che mi sono persa nella mia nuova città, e dopo qualche tempo ritrovata a dare le indicazioni stradali.
La prima volta a casa con una bimba.
La prima volta a casa con due bimbi.

Ogni primo giorno in un nuovo posto di lavoro, quando la mia attenzione cade su un dettaglio che mi sembra rilevante, e poi improvvisamente non lo noto più perchè fa parte della mia nuova vita, ma riesco a ricordare di averlo osservato come se fosse stata, allora, una cosa strana.
Il particolare odore di un corpo, o la curva che prende tra le scapole, che lo noti solo i primi tempi, e poi  diventa "casa" anch'esso. Ma questo è un discorso un po' diverso perchè, in questo caso, vorresti davvero recuperarlo quel momento in cui tutto era all'inizio, sconosciuto, misterioso, e per quanto nella familiarità ci sguazzi ogni tanto, solo ogni tanto, hai una profonda nostalgia del preludio.

L'ho già detto, io non sono un cuore impavido. Le prime volte mi terrorizzano, sempre, da sempre. Tendo a nuotare nelle acque che conosco finchè non diventa necessario affrontarne di nuove. Il nuovo mi fa paura.

Però in questo passaggio dallo sconosciuto al familiare, che avviene sistematicamente anche se non sai di preciso quando, ecco lì dentro ci dovrebbe essere la conferma che non c'è cosa nuova che ti debba spaventare, perchè è semplicemente una cosa che ancora non conosci. E che prima o poi ti sarà amica, sorella, casa. Ecco, io lo scrivo qui come se avessi imparato e archiviato la cosa come assodata, ma in realtà la teoria mi riesce molto meglio della pratica.



Poi magari un giorno parliamo anche delle cose che avrei voluto mi diventassero familiari e invece no.
Kleenex e antidepressivi, prima.

6 maggio 2011

Uno solo non è possibile

La sensazione che mi viene addosso quando mi chiedono quale sia il mio libro preferito e io non riesco a rispondere. Frustrante, eh.
Esattamente come per le canzoni o i film. Me ne sto lì con l'espressione accigliata alla ricerca di una risposta che abbia senso, ma quando è la domanda a non averne è dura.

Forse è la parola preferito che mi disturba, come a dire, perchè ne devo scegliere uno solo?
Come se fossi una persona coerente, come se i miei gusti restassero immutati, come se.
Con l'aggravante che quando si tratta di libri, chi hai di fronte sicuramente di fronte al tuo silenzio attonito pensa che leggi un libro e mezzo all'anno e quello intero sia quello di Totti.
In realtà, non è affatto semplice fare una scelta di questo tipo. Cioè sceglierne uno.
Uno per la vita, ma scherziamo?

Anche se ci sono periodi come questo in cui faccio fatica a trovarlo, un libro di quelli che ti prende e ti porta via, ci sono stati in passato i libri che ho amato e che tutt'ora occupano un posto d'onore nella mia libreria, a sinistra, terza mensola dall'alto. Alcuni libri del cuore li ho lasciati sulla strada percorsa, prestati a persone che non me li hanno più resi, persone che io nel frattempo ho perso, e ora in operazione nostalgia mi farebbe strano richiamare solo per chiedere senti ma tu.

Sì insomma l'ha già detto molto meglio lei, che ci sono libri di cui ci si innamora a tal punto da pensare che siano stati scritti su di te, come le canzoni "guarda ci sono dentro io".
E lì la reazione è duplice: o i regali a chi ami perchè vuoi essere ritrovata in quelle righe e vuoi che chi ami ti confermi che in effetti stai proprio lì dentro, sei proprio tu, non ti si poteva descrivere meglio.
Oppure li nascondi e non li condividi con nessuno, come se fossero un tuo segreto prezioso, qualcosa che non vuoi condividere perchè rivela una tua fragile intimità, una tua intima fragilità.
Io sono più del secondo tipo, anche se ci sono state delle eccezioni. Eccezioni malriposte in alcuni casi.

E poi ho un quaderno celeste in cui ho riportato negli anni tutte le frasi dei libri che in qualche modo erano legate alla mia vita; alla mia vita di "quel" periodo, quindi a rileggerle non necessariamente ritrovo il motivo che me le ha fatte salvare.

Però.
Si cresce.
Cambiano tanto anche i libri che ami.
Cioè io ieri andavo a Baricco (Oceanomare resta sempre là, comunque), De Carlo,e Tondelli, e oggi no, oggi anzi.

Oggi Grossman, oggi Nothomb, oggi Orwell, oggi Coe, oggi Miller.
E poi, oggi Durkheim, oggi Chomsky, oggi tanto altro.
Oggi soprattutto la mancanza di quella necessità di trovarci a tutti i costi un collegamento con me e con la mia vita, anche se poi un dettaglio capita sistematicamente, una frase che salvo a prescindere, nel quaderno celeste.

E voi.
Esempi. E consigli.

5 maggio 2011

1998

Faceva davvero caldo quell'anno. Forse in realtà non più degli altri anni, ma era la fine di luglio, avevamo finito gli esami da qualche giorno e aspettavamo in attesa che un programma decente di estate ci venisse a bussare alla porta.
Poi una sera decidemmo che basta.

- Linda fa caldo, partiamo?
- Stasera alle nove in Centrale, a chi lo dico?
- A Claudia. Stop.

Tre ore dopo, tre ragazze con tre enormi zaini sulla schiena, ognuna con il suo amore sbagliato da cui andare via, se ne stavano con il naso all'insù a guardare il cartellone delle partenze, che era ancora del vecchio tipo con le lettere che giravano, e ogni tanto qualcuna si incastrava, allora Geneve diventava Genove, e ti chiedevi se fosse sbagliata la "o" o la "e" finale, quindi meglio non prenderlo, non si sa mai, che cerchi Bogliasco e finisci in un plastico svizzero.

- Calabria?
- Madò, saranno due giorni di viaggio, non ho voglia. Puglia?
- Magari nei prossimi giorni, non possiamo partire con una tappa più vicina?
- Non la Liguria.
- Livorno?
- E da lì traghetto?
- Traghetto per dove?
- Elba.
- Giglio.
- Capraia.
- Capraia tutta la vita.

E Capraia fu.
Isola meravigliosa e selvaggia, isola che ti potevi godere appieno solo con una barca, e noi ovviamente no. Isola bellissima e scomodissima, senza sabbia, per prendere il sole dovevi picconarti a qualche parete a strapiombo sul mare, mi ricordo soprattutto i lividi, per l'attrito delle rocce contro le ossa.
Isola di grandi silenzi tra noi, in uno strano clima sospeso, ognuna a espiare la sua distanza dall'amore sbagliato, tre giorni in cui a malapena ci salutavamo al mattino, ognuna coi suoi meccanismi di difesa e di attacco, ognuna con le sue ricadute (una "Lo chiamo?" le altre "NO!", ciclicamente, tutte e tre).
Poi una sera la litigata cosmica per una questione da niente, pomodori e mais - i massimi sistemi, ma ormai maceravamo da tempo nella nostra salamoia di ragazze deluse, e alla prima occasione la guerra, le urla, le ritrattazioni, ma tu, ma noi, e invece tu, tutte con gli indici alzati ad accusare le altre, e i "non ci dovevo venire", e poi come tre stronzette patetiche tutte a piangere che "io vi voglio bene, ma quell'amore è proprio sbagliato e fa male", pianto per le successive due ore e la mattina dopo tutto svanito, ma svanito davvero, del genere che ti chiedi se ti sei sognata o cosa di stare con quella persona là, e come hai potuto, e ok, però ora andiamocene, dai.

Quindi traghetto, e treno Livorno-Bologna-Ancona, a raggiungere altri amici, ormai pronte, aperte e ricettive.
Lì fu la vera vacanza.

Grigliate, musica, falò sulla spiaggia (illegali, ovviamente), chitarre, birra, canzoni, complicità, e sigarette, dannazione sigarette, i piedi nudi nella sabbia ormai raffreddata, ad accucciarsi in riva al mare e lanciare sassolini tra le onde, ognuno un desiderio, una promessa, un proposito, e poi pelle e poi baci. Le vacanze di quelle che vedi in ogni dannatissimo film estivo, che ti dici "ma quando succede nella vita reale un'estate così?", un incontro così, una storia così, ecco, può succedere, succede, si tratta solo di crearne le condizioni.

Non l'ho dimenticata, quella vacanza.
Non ho dimenticato neanche Capraia che comunque per me, fino alla prossima volta, sarà sempre associata a quei tre giorni strani di silenzi, di elaborazione, e di espiazione.
Non ho dimenticato neanche loro due, anche se le ho perse.
Le ho perse nonostante la vacanza successiva alle Cicladi e poi Puglia, le ho perse nonostante il Capodanno 2000 a Roma, e tutte le serate, le confessioni, e le lettere scritte a mano, e quaderni interi riempiti di noi, e le parole dette, e le dure verità affrontate per mano, che" fa male ma se sei qui va meglio", come ho potuto perderle se mi sembrava di non poter stare senza?

Devo essere davvero brava nella ristrutturazione cognitiva...
Come mi perdo la gente io, nessuno.

Però non la dimentico.
Mai.

4 maggio 2011

ImmaginAlex



Roo l'ha visto. Ci ha girato un po' intorno. L'ha studiato. Poi finalmente un giorno ha capito.

Corre incontro a questo moncone di albero, lo abbraccia, si volta verso di me letteralmente raggiante e mi dice:
- Mamma guadda, è Alex!
- Ah sì?! - chiedo io chiamando l'892424 per il numero di un bravo neuropsichiatra infantile, mentre le altre mamme allontanano i loro figli.
- Cetto. È Alex, punto e ttop.

Niente, vi presento Alex, l'amico immaginario di Roo. Ogni tanto Roo lo picchia ma poi gli porta una foglia gialla da mangiare, ogni tanto prova a saltargli in braccio e poi gli tira un calcio, ma soprattutto gli parla tanto e gli gira intorno ancora di più. E se litigano, lo ignora.

Che cosa vuoi dirgli?
E soprattutto da che pulpito?
Io faccio monologhi lunghissimi in macchina mentre guido, ma in realtà sto immaginando domande e risposte di situazioni che poi nella realtà non combaciano mai con la mia fantasia, e quindi mi deludono. Ringrazio il cielo che hanno inventato gli auricolari che sono un alibi meraviglioso, perchè prima di essi spesso litigavo con qualcuno da sola in macchina e alzavo anche parecchio i toni, su un'auto che evidentemente non poteva essere dotata di vivavoce...
Mi vengono dei discorsi bellissimi quando parlo da sola che non avete idea.
Il discorso perfetto che poi, vis-à-vis, mai.

Sì, insomma, ai giochi di destino, le riviste al contrario, le scatole e la conta delle cose aggiungiamo anche che parlo tantissimo da sola.
Quindi, considerata la genetica, il suo Alex mi sembra davvero innocuo.
E adesso lo salutano tanti altri bambini, sicchè.

2 maggio 2011

Spaccacuore

Ritorno dal solito parchetto con i nervi meno a pezzi del previsto. L'incognita a questo giro era costituita da schifosi piccioni, che io aborro, ma me la sono cavata piuttosto bene tutto sommato, sarà stato il buonumore per l'assenza delle solite mammedelparchetto impegnate in qualche evento religioso che esiste solo a Snobville, "il nostro culto è differente".

Lee mi fa mille domande sul perchè viaggiamo così leggeri, cioè senza bicicletta, monopattino, macchinine, bambole, merende varie, la qualunque.
La mia risposta da perfetto manuale di pedagogia è "perchè no", e lei giustamente mi fa notare che non è una risposta. Provo ad argomentare meglio, quando Roo interviene nel discorso per ribadire alla mia amica e relativi figli e a tutto il mondo circostante, con un volume che se non impara a regolarlo dovrò insonorizzare il salotto, che oggi è il suo compleanno ma che la mamma non gli ha fatto nè torta nè regalo.
E la mamma non l'ha fatto per un semplice motivo, che oggi non è il suo compleanno, ad esempio.

In questo tripudio di dialoghi, domande e negazioni varie, la mia attenzione cade su una scena che si sta svolgendo a pochi metri.
Un ragazzo e una ragazza.
16 anni al massimo.
La "compagnia" tutta lì vicino, ma loro un po' in disparte.
Lui di quel genere di carino che può piacere giusto alle sedicenni (il vero figo del gruppo era lì a pochi metri non ancora sbocciato, ma noi c'abbiamo l'occhio lungo), insomma questo tizio belloccio, sportivo, con i bermuda, gli occhiali a goccia, il casco dello scooter in mano e un atteggiamento da sberle a piene mani, che mentre lei gli parla guarda in giro, in basso, in alto, ovunque pur di non guardarla in faccia.
Lei carina, 'ste ragazzine si somigliano tutte, capelli lisci alle spalle, cerchietto, jeans stretti e ballerine.

Gli sta davanti e gli parla.
Lui a un certo punto dice qualcosa.
Lei si impietrisce, resta lì un attimo, poi gli volta le spalle e se ne va.
Cammina verso di noi, con il viso che le si disfa in un pianto, ma senza scoppiare del tutto (aspetterà di voltare l'angolo per quello), senza voltarsi indietro, guarda in basso, si stringe nelle spalle e si allontana.

Io e la mia amica la guardiamo, era impossibile non capire: si sono appena lasciati.
E lei sta male come un cane, ma niente al confronto di come starà stasera.
Viene voglia di andare lì e di abbracciarla e dirle che quello è un deficiente, e che passerà anche se ora è devastata, poi passa.
E che quello è un cretino.
E che dovrebbe puntare a quell'altro, al figo non ancora sbocciato.
Giuro, era un dolore palpabile.
Chiunque l'abbia provato a quell'età lo riconosce subito.

Faceva male che sembrava di morire.
Ma poi è passata.
Pronta per la prossima storia, la prossima batosta, la prossima ricostruzione.
Che tenerezza però.
Se scopro che è stato per via di quella sciacquetta tettona sull'altro scooter, gli taglio le gomme.

Il moto oscillatorio

E poi ci sono dei periodi in cui torna fuori un'inquietudine.
È una sola, sempre la stessa, ma così grande che non si riesce ad arginare.

Del tipo che scalpito, e incespico, e mi muovo ovunque senza andare da nessuna parte.
E soffro di questa cosa, perchè non solo non so dove andare ma non so neanche dove fermarmi.
E come fermarmi.

Allora, che si fa?

Mi sento in altalena, e non riesco a saltar giù, continuo ad oscillare tra immagini possibili di me, senza saper prendere una posizione nei confronti di nessuna di esse. Ma non è l'età adulta il momento in cui ci si dovrebbe cristallizzare dentro un ruolo, e farselo calzare a pennello con tutti i suoi annessi e connessi? Cioè che la vita fino a qui era solo un vestito imbastito col filo grosso, e ora è il momento di rifinirlo perchè stia addosso come un guanto?
E cosa ci faccio io in altalena allora? Che l'altalena è bellissima finchè te la sai vivere, ma quando cominci a constatare che in modo o nell'altro bisognerebbe saltar giù, e non ci riesci, non sei neanche più in grado di goderti il suo moto oscillatorio.
Si ferma da sola?
C'entra forse con quella storia che il tempo è un gran dottore?

O forse il segreto sta proprio in quel moto, e bisogna solo ritrovare la forza per darsi un'altra spinta e finire ancora più su, ancora più in alto, sempre più lontana dall'immagine di una me stabile?

Oh, a me sta cosa fa paura.

1 maggio 2011

Tra umbertotozzismi e sportività

- Primo maggio?
- Su coraggio?
- Lascia stare UmbertoTozzi, primo maggio = parco.
- E chi lo dice?
- Lo sanno tutti.
- Ma che infanzia hai avuto?!
- Muoviti.
- Ok, faccio la doccia e andiamo.
- Il fatto che tu faccia la doccia prima di andare al parco la dice lunga sulle tue intenzioni.
- 'mbè? La mia idea di parco implica una coperta blu, gli occhiali da sole, un libro, l'iPod, un picnic, cose così.
- Eh, mica che si pensi che tu sia una sportiva.
- Mi metto la tuta se ti fa piacere.
- E pensi che basti?
- A me sembra un ottimo inizio.
- Ma certo.
- E poi non è eticamente corretto lavorare in questa giornata, dovrebbe essere vietato.
- Sport non è lavoro.
- Parla per te.