28 gennaio 2011

Io sono Batman

No, io non sono un cuore impavido. Non per quello che riguarda cogliere le occasioni. Per dire, all'università io mi alzavo la mattina di ognuno dei 27 esami sostenuti con un solo pensiero: non ci vado.
Questo pensiero si ripresentava recidivo ad intervalli regolari, fino al momento dell'esame stesso, quando il professore dopo aver consegnato il materiale per lo scritto tuonava "Avete 15 minuti per ritirarvi". E io pur essendo preparata prendevo in seria considerazione l'idea di non sostenerlo. Paura, timidezza, sindromepremestruale, e che altro?!
Ma è vero, nella vita gli esami non finiscono mai, e se può migliorare il peso che attribuisci loro, di base l'approccio resta sempre lo stesso, nel mio caso quello del non affrontarli.

Facendomi la solita violenza quindi, ieri ho fatto un colloquio per un'importante agenzia di eventi, con il solo intento di regalarmi l'effimera illusione di poter ancora far parte di quel mondo. Il colloquio è andato benissimo. Davvero, mai andato meglio. Le cose vanno sempre bene quando sai già il risultato finale, e quel risultato l'hai deciso tu nel momento in cui hai ricevuto la telefonata.
La donna con cui ho parlato in perfetta sintonia con me.
Io brillante, sicura, convincente.
Quello nato come un colloquio è diventata presto una chiacchierata tra due amiche, mancava solo la birretta e il quadretto era completo.
Siamo state d'accordo su tutto.
In particolar modo sul fatto che io non sono adatta a quel lavoro.
Non per mancanza di capacità, nooo, magari.
Perchè nella vita ho fatto delle scelte.
E allora io quel lavoro non lo posso più fare.

Priorità. Scelte. Libero arbitrio. Quelle cose lì.

Allora mi chiedo se ha ragione Batman (eh? cosa? sssssh!, il guru sta negli occhi di chi guarda) quando dice "non è ciò che sei, ma quello che fai che ti qualifica". Variazioni sul tema, forse, ma dire questa cosa non è un po' come dire che siamo quello che facciamo? 
Non nei termini di azioni più o meno qualificanti, ma in senso più ristretto, di lavoro.
Se penso a me stessa, faccio fatica a far combaciare quello che sono con il lavoro che faccio. Trovo che sarebbe oltremodo limitante.
Ammetto di non conoscere molti fortunati che fanno come lavoro quello per cui si sentono davvero realizzati.
Uno l'ho sposato.
Con altri ci lavoro.
Ma la sensazione che ho è che fortunatamente c'è sempre uno scarto tra le due cose: una persona grande, adulta, ben delineata, risolta non può combaciare perfettamente con una cosa sola, dai, ci DEVE essere dell'altro, altrimenti sai che tristezza, che piccineria, che poca fantasia.
Anche laddove qualcuno sia pienamente realizzato nel lavoro che fa, non posso credere che si riduca solo a quello.
Però nel mio caso lo scarto è notevole, se penso al lavoro per cui sono pagata, e non è comunque esaustiva neanche l'aggiunta dell'intero compartimento familiare, cioè il lavoro per cui non sono pagata. C'è ancora altro che forse non troverà mai il modo di esprimersi, ma io sento che c'è.

Il problema che poi non è un problema è molto milanese, dove "quello che fai" is the new "quello che hai".
A me non basta un bel lavoro per valutare una persona come interessante, e fare la poser con il lavoro fico, tesoromio, ti fa perdere ulteriori punti. Ma vedo che il mio non è il metro di giudizio più diffuso, ragion per cui io spesso finisco nel reparto persone che "non ne vale la pena". Non che la cosa mi dispiaccia, mi sento come Renée Michel al netto della filosofia e con una spruzzata di sociologia qui e là.
Però ecco io ogni tanto lo vorrei dire con chiarezza che sono anche altro.
Ma poi perchè.
Anche no.
Voglio dire.
Anche Batman fa tante cose. E nessuno sa chi è.

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