31 marzo 2011

D'yer mak'er e Dazed and confused

I miei genitori abitano a duecento metri dal mio primo amore. Primo amore quello vero, quello che tutt'un tratto boom!, quello che mi ha fatto capire che tutto ciò che avevo sentito fino a quel momento per le varie storie e storielle non era che un'ombra, un alone, uno sfumato di matita, che nulla aveva a che vedere con la cosa violentissima che stavo provando per la prima volta. Credo che abbia "spostato il mio asse" e da lì in poi, dopo di lui, avrei assorbito tutto in modo diverso.
PrimoAmore è stata una conquista, con un corteggiamento ponderatissimo di passi avanti e indietro, di parole dette e ritrattate, di silenzi e discorsi chilometrici. Una sinfonia fatta di tutta l'orchestra possibile e poi improvvisamente il violino solo, e poi pausa, silenzio, e poi di nuovo tutta l'orchestra, con un ritmo sincopato di pieni e vuoti, una musica da folli. Nei quattro mesi di corteggiamento da parte mia più di una volta mi sono chiesta se non stessi vedendo cose laddove non esistevano, se quei segnali che leggevo in lui fossero solo frutto della mia fantasia, se non mi stessi facendo un film. Sono stati i quattro mesi più poetici e creativi di tutta la mia vita, che se hai la fortuna di incontrare il primo amore in quella fase di età sufficientemente piccola da poter vivere tutto con violenza e senza freni, e abbastanza grande da poter togliere di mezzo le incertezze da bambina, il risultato può essere straordinario.
Alla fine no, non era un film nella mia testa, e finalmente non c'erano più assoli. Siamo diventati due primi violini, o meglio un pianoforte e una batteria, e abbiamo suonato insieme per due anni e mezzo. Un concerto ricco, corposo, a volte stridente, dissonante, un crescendo continuo, un finale maestoso di quelli che poi quando terminano senti il rumore del silenzio.
Eravamo gli opposti che si attraggono, il giorno e la notte, ghiaccio e fuoco, tutti gli ossimori che possono venire in mente.
Gli opposti si attraggono ma alla lunga non resistono, non se di fondo c'è la volontà di non snaturarsi, cioè di rimanere opposti, senza che l'uno si modifichi per l'altra.
Niente compromessi, noi. L'amore è adattamento? Naaa, non per noi due.
E quindi la storia è finita.
Finita per impossibilità di convivenza, e non per mancanza di amore, quindi finita che ancora ci amavamo alla follia. Solo che non potevamo viverci, non potevamo stare insieme, punto. Io ci ho messo un po' di più a capirla questa cosa e ovviamente l'ho subita, chè tra noi due lui era il pragmatico e io l'idealista, lui il tangibile e io l'effimera. Io avrei vivacchiato ancora per un po', lui ha messo la parola fine.

E lì, dolore allo stato puro.

No, non sto parlando di quei due piantarelli che essendo piuttosto teatrale, e anche un tantino stereotipata, ho concesso alla memoria postuma di qualunque storia finita, che metti su Don't Follow a oltranza e attacchi a piangere per le successive tre ore, trascinando i piedi fino in cucina, perchè tutti possano essere testimoni che stai soffrendo, ok però adesso esco con le mie amiche, ciao.

Sto parlando di una sofferenza lancinante che mi ha impedito di respirare bene per una anno e mezzo buono, disimparando a ridere, a pensare, a parlare, cose assolutamente impossibili se io non stavo più con lui.
PrimoAmore era quello che io avrei sposato a 22 anni, e fortunatamente lui aveva più cervello di me e non me l'ha mai chiesto perchè ci saremmo condannati all'infelicità eterna, per forza.
Dopo la fine di quel "noi due" che eravamo, io ho raggiunto il picco minimo del mio peso e dell'amore per me stessa. Ma, eredità della mia amica A., che "per noi va sempre tutto bene", esternamente ero impeccabile, curata, controllata, ostentavo una facciata di perfezione per nascondere che dentro mi stavo sgretolando. Insomma, io ero devastata, ma non ho mai avuto tanti corteggiatori come in quel periodo. C'era solo un ragazzo che non voleva (più) uscire con me, ed era l'unico che volessi.
Mi ricordo quel periodo come se fosse tinto di bianco accecante, che avevo eliminato tutti i colori per dimenticarne uno; stessa cosa per suoni e profumi.

Bè la vita spesso ti prende per il culo, e, abitando a duecento metri dai miei, è capitato che io l'abbia rivisto proprio nel picco basso del pelacarote (sinusoide, sì, quella roba là) e in piena sindrome premestruale. Donne, a me: solo voi sapete cosa intendo.

È cambiato. E la cosa strana è che io mi ostini ad associare quegli occhi, quei denti e quelle mani ad una persona che mi stava accanto una vita fa, e che di fatto ora non esiste più, perchè le frasi che gli vengono fuori non sono quelle che mi aspetto, non riesco più a leggerlo, ad anticiparlo. E la sensazione che ne risulta è straniante, un po’ come quando sei in macchina con qualcuno e non sei tu a guidare, e di fronte a un bivio tu sei convinta di andare da una parte, e ti prepari, ti metti in posizione per affrontare quella curva, e invece chi guida gira dall’altra parte e ti trovi sbilanciata, sorpresa, impreparata.
E ho capito che anche lui stava pensando la stessa cosa, che mi guardava parlare con la testa inclinata da una parte, e lo sguardo un po' accigliato anche se caldo, come se stessi parlando un'altra lingua, come se non se lo aspettasse.
Siamo cambiati e l'uno non era presente nella vita dell'altra.
È ovvio.
È normale.
 
Il giorno del suo matrimonio io l'ho passato con la luna di traverso, perchè non mi spiegavo come gli fosse stato possibile mandare avanti la sua vita dopo di me: com'è possibile che mi sia sopravvissuto? Com'è possibile che sia sopravvissuto alla mia assenza?
Bè certo che io l'ho fatto, macheccentra, non mi aspettavo che ci riuscisse lui, voglio dire io sono insostituibile, no?
Eh, no, è evidente.

Bè insomma fa un effetto strano.

Però io lo auguro ai miei figli un primo amore così, completo perchè corrisposto, di confronto e crescita. E se dovesse finire, di sofferenza e di sopravvivenza. Che crescano con la consapevolezza che dopo tutta quella sofferenza c'è un bel punto di partenza, che sei tu, e nella ricostruzione puoi aggiungere qualche pezzo, qualche stanza, nuove finestre, altra luce. Ed uscirne più grande.


Per la saggezza in pillole, prendere il numeretto in fondo a destra, prego.

29 marzo 2011

Neanche fosse il Sacro Graal

A casa Zeta, i triplocarpiati linguistici fanno sì che il "non trovo" diventi "dove hai messo". 

- Dov'è lo straccio per lavare il pavimento? - ennesima cosa nella lista dei dov'è della mattina.
- Ma tu abiti qui o cosa? Dove vuoi che sia? Sul balcone, come sempre.

Lo seguo perchè sono davvero curiosa di capire come sia possibile non trovare mai niente in modo così squisitamente sistematico.

Esce sul balcone, si affaccia come neanche Evita Peron, guarda il panorama a destra e a sinistra, ad altezza occhi, saluta un vicino, rientra e dice il celeberrimo "Non c'è".
- Certo,  gli stracci del pavimento sono famosi per volare ad altezza occhi, però tu hai provato lo stesso a guardare per terra? Sai mai...
- Ah già, eccolo. 
- Ti stanchi mai di queste schiaccianti prove della tua inadeguatezza?
- Sei noiosa.
- Sei ridicolo.

28 marzo 2011

Piccole adultere crescono

- Domani c'è ginnastica, ma mercoledì mi metto la minigonna jeans, con la calzamaglia grigia, e la maglia a maniche lunghe con sopra la ballerina col tutù, e poi giovedì...
(io, che non posso affrontare una programmazione di guardaroba lunga una settimana, cambio discorso)

- Ho visto Mattia, il tuo amico dell'altra classe, sembra un bravo bambino...
- È il mio fidanzato.
- Ah ok, e lui lo sa?
- No. Perchè? Devo dirglielo?
- Non so, vedi tu. Ma almeno dovresti dire a Matteo che hai cambiato fidanzato.
- Noooo.
- Perchè?
- Perchè dopo lui non mi ama più.

Elementare. Feroce. Cristallina. Spietata.
L'educazione sentimentale dei bambini dell'asilo.

25 marzo 2011

Di corsa

- ... capito Stefy, qui non è più questione di peso, ma di tono muscolare.
- Io non ce l'ho tra gli optional, sono un modello base.
- Io invece devo averlo lasciato in treno.
- Puoi sempre riacquistarlo all'asta delle FS.
- Quindi? Andiamo a correre?
- Sì ok però andiamo al parco di Wannabe.
- Perchè?
- Perchè c'è più verde, è più grande, e soprattutto non ci conosce nessuno.
- Eh certo, perchè il mondo sta solo aspettando che io e te muoviamo il culo...
- Non si sa mai.
- E, secondo te, quanto vogliamo correre, così per iniziare?
- Mah...
(lunga pausa).
Io direi cinque minuti.

Autoindulgenza a profusione.
Lo vedete come si fa per essere sempre felici e soddisfatte?
Si riducono gli obiettivi fino a renderli raggiungibili.
È facilissimo.

24 marzo 2011

Park Avenue, Snobville

Le mamme del parchetto.
Parliamone.
Quelle che arrivano e piazzano le loro chiappette da pollo secco sulla panchina all’ombra mentre i loro figli vanno in giro a bulleggiare con una sicumera tale e quale a quella delle loro genitrici, devo informarmi se la iniettano per endovena in sala parto, e se per caso ho mancato la mia dose.
Quelle che quando parlano prima si devono fare spazio, perchè loro in realtà non parlano, pontificano, mentre con lo sguardo verificano il grado di approvazione delle astanti e, nel caso, aggiustano il tiro.

Tra Loro, ci sono:
- quelle che "ah no, il mio LordFauntleroy andrà alla scuola privata, perchè", testuale, "non voglio mica che cresca con gli extracomunitari" ("premio integrazione" subito)
- quelle che "io Yourcenar la mando alle elementari a 4 anni e mezzo perchè è troppo intelligente" - "einstein domani"
- quelle che "Giangianni ha 9 mesi ma veste 18"
- quelle che "Pierpuffo ha sei mesi e gli ho tolto il pannolino"
- quelle che "Fedor ha 3 anni, scrive e tiene conferenze sul surriscaldamento globale"
- quelle che "Priscilla non veste oviesse, noi solo Miu Miu e Prada, guarda mi trovo tanto bene" (ecco, pensa a me quando cresce)
Praticamente è la sublimazione del celolunghismo delle mamme fuori dall'asilo.

A queste si aggiungono le Altre, categoria diversa, ma non per questo meno inquietante, scolarizzazione scarsa, 740 corposo:
- quelle che "Shannon prendi la macchinina del bambino, è vero che la può prendere la macchinina del bambino?" - e io: Eh?... - "Ecco, vedi Shannon, prendi la macchinina del bambino". Il bambino in questione è Roo, che si è portato una macchinina dopo averla scrupolosamente scelta tra quelle che ha a disposizione e di mollarla non ci pensa neanche. Devo scegliere il male minore: ai fini della sopravvivenza del mio straccio di sistema nervoso, è meglio l'incazzatura di questa madre o di mio figlio? Ecco. Seguono pianti, litigate, e sberle varie, finchè sequestro la macchinina e allontano Roo, con l'altra madre che mi guarda torva
- quelle che "non devi portare i giochi dei tuoi figli, sennò a Chantilly viene voglia di usarli", e a me sul momento viene quasi da scusarmi tanto sono convincenti, poi penso che loro arrivano al parchetto con una pochette minuscola mentre io sembro una profuga, e quindi di che cosa stiamo parlando, scusa?
- quelle che il loro figlio spinge il mio facendolo cadere, e loro intervengono dicendo "signora, i bambini devono imparare a stare insieme", solo che il loro ha undici anni e il mio due.

E poi i bambini che "Ciao mi chiamo Geims, e uso tutto quello che hai portato tu, ma non osare avvicinarti al mio monopattino in titanio sparafulmini che ci puoi andare sulla luna".

Ecco.
Questa è la media dei miei incontri al parchetto.
Poi dici che vuoi chiuderti in casa.

Perchè non puoi vincere, eh, non ce la puoi fare. Costituiscono un organismo superiore, pluricefalo, qualcosa che è di più della mera somma delle sue parti, un'entità "altra" compatta come un blob, all'interno del quale non riesci più a distinguere le une dalle altre, ti arriva soltanto questa impressione tangibile di alterigia e di boria, senti solo che sono molto più forti di te, che si spandono ovunque.
E tu non puoi neanche lontanamente pensare di affrontare quella battaglia, considerato che non hai mai preso in considerazione di farne parte.

Non ce la faccio a farne parte, e ogni tanto mi chiedo se almeno dovrei desiderarlo.
E poi mi chiedo se i miei figli pagheranno in qualche modo il mio esserne al di fuori.
Certi giorni mi viene da piangere.
E in quei giorni, solitamente, Lui mi chiama alle sette di sera e mi dice che torna tardi.
In quel momento io valuto se chiamare uno psichiatra o la Bernardini De Pace.

23 marzo 2011

Pink, it was love at first sight

Metropolitana solita.
Alla fermata dopo la mia sale una coppia di freak&chic, lei spinge un passeggino su cui svetta una bimba bellissima, sorridente e ciarliera.

La bimba ha pantaloni rosa, calzine rosa, maglioncino rosa, smanicato rosa, sciarpa rosa, cappellino rosa, ciuccio rosa, pupazzino rosa, e anche il passeggino è rosa, con le ruote rosa, la borsaportatutto rosa, sembra che le sia esploso il Tenerone addosso...

Una signora si avvicina alla coppia e chiede "È un maschio o una femmina?".

Senza. Parole.

Daltonismo. Non riesco a pensare a nessun'altra spiegazione.




ps: a me comunque è andata anche peggio, me l'hanno chiesto in spiaggia mentre Lee correva nuda, tra un cambio di costume e l'altro.
- Signora, le spiego: se hanno il pisello sono maschi, altrimenti femmine.

Tocca insegnare l'ABC.

#cercounlibro

Ecco, io sto cercando questo libro.

Che non è il grande romanzo italiano del secolo, ma per me conta davvero molto. Che ho capito che adesso Jovanotti è per menti sopraffine, e siamo tutti con lui, ma allora eravamo molti meno, sicuro.

Il fatto è che io ce l'avevo questo libro, millemila anni fa.
Poi l'ho prestato a una.
Poi ho limonato con uno che aveva dimenticato di dirmi di essere il ragazzo della tizia di cui sopra. O forse me l'aveva detto, e io l'avevo comodamente rimosso, non ricordo...
Sì vabbè, anche lei però era mia amica e non mi aveva detto niente. Se non fosse stata mia amica non gliel'avrei prestato, quindi insomma, dai, se l'è cercata... ah, no? (ecco, no, il sillogismo non è proprio il mio forte).
Ai fini del ritrovamento di questo libro, conta qualcosa, in fondo? Io direi di no, dai. Mano sulla coscienza, prima: abbiamo provato tutti a stare sia da una parte che dall'altra e quindi...

Però insomma converrete con me che non fosse più il caso di citofonarle per chiederle indietro il libro, l'ho considerato una sorta di risarcimento, anche se dentro c'erano tutti i miei appunti, frasi, disegni in penna azzurra, insomma era un'edizione un po' arricchita e personalizzata con le mie esperienze di allora.

E ora mi piacerebbe ritrovarlo.
Se non proprio il mio, che secondo me è finito in un caminetto qualche minuto dopo la scottante rivelazione, almeno uno nuovo, lindo e pinto.
Ci tenevo tantissimo. Volevo che fosse mio in esclusiva, chè tanto nessuno l'avrebbe mai compreso in profondità come me, "cioè, guarda, cioè ci sono dentro io, cioè tu non hai idea" (incredibile che io poi sia riuscita ad imparare l'italiano, considerata quella fase, cioè).
Se lo vedevo in qualche libreria, dopo averlo acquistato, lo nascondevo perchè nessun altra potesse averlo (questa cosa è la versione squattrinata del "compro tutte le copie").
L'ho prestato dopo molte insistenze. E poi è andata come è andata.

Lo rivorrei. C'è dentro LaLara di 19anni scarsi.
Trovo che sia molto carino poter ritrovare i noi stessi che eravamo anni fa solo aprendo un libro. È una specie di magia, una macchina del tempo, un buco spaziotemporale.

Deve tornare a casa.
Se lo vedete in giro fatemi un fischio (virtuale), la mia mail la trovate qui.


(ne approfitto per ringraziare Cristina che ha già fatto tanto...)

22 marzo 2011

Unghie sulla lavagna

Ieri Lee è andata all'asilo con le unghie delle mani dipinte di pennarello viola.
Così alla già menzionata sindrome del "ma perchè la vesti al buio" si aggiunge anche quella di un'igiene poco accurata, secondo le zelanti e onniscienti e tutteocchi mammedellasilo. Non è fantastico in quanti e quali svariati modi i bambini riescano a dare un'immagine pessima della loro famiglia?!
Si raccolgono soddisfazioni a piene mani.
Lee ha raccontato a mia madre, che la accompagna all'asilo, che io approvo questa sua punta di colore. E mia madre le ha creduto.
Non sapevo in che direzione tirare gli schiaffi.

Ecco, dicevamo, le unghie dipinte. L'esempio non le arriva da casa, io ho il retaggio di quando suonavo il pianoforte, quindi unghie tagliate corte, lo smalto questo sconosciuto, e in generale il trucco è appena accennato, sempre che mi avanzi tempo.

L'esempio è la sua amica Nicole. Roba che di 'sto passo è un attimo che me la vedo uscire vestita come un'educanda per mettersi pantaloni in pelle e top filocapezzolo su tacco 14 in ascensore.
No, io non voglio demonizzare niente. Non è il trucco in sè.
È piuttosto l'adultizzazione dei bambini, in tutte le forme che può assumere, dalle scarpe col tacco, al gloss trasparente ma presente, allo smalto sulle unghie. Il mercato ne è pieno e gli spot nella fascia protetta sono un martello.

Se comincia a 5 anni, ho paura che entro i dieci dovremo andare insieme dal chirurgo estetico. Per lei (ma già che ci sono, un preventivo anch'io, grazie).
Quindi ovviamente io remo contro, dando spiegazioni più o meno comprensibili e motivate, mentre Roo in sottofondo assume le pose dell'ascoltatore perfetto (braccia incrociate - mmm... aahah.. davveo?).
Però mi chiedo, c'è qualcosa su cui non si debba arrivare a dirimere un conflitto?
Perchè da noi, tutte le mattine si svolge una contrattazione serratissima su cosa può mettere e cosa no, e se al pendant ho rinunciato, non posso abbassare la guardia sul resto.

- Questa.
- Lee, è una canottiera.
- E allora?
- Non ha le maniche.
- E ALLORA?!
- C'è la neve, Lee.
Ma lei è una neo-integralista dell'abbigliamento a strati.
- Fa niente, la metto con questa (maglia a manica lunga), e questo (pile), e questi (jeans).
E infatti mette tutto, solo che la maglietta iniziale finisce sopra parecchia di quella roba.

E questo è quotidiano. Roba che se non mi diventa cocochanel io non so se la perdono.

Quando sono esasperata chiamo Lui, che tanto è in macchina per andare al lavoro.
- Tuafiglianonmiascoltatelapassoinvivavoce.
- Lee, ascolta la mamma.
- Che sforzo creativo, che polso. Non so se il mondo è pronto a tutto questo, di prima mattina.
- ...
- Ah dimenticavo, vuole lo smalto finto di pennarello sulle unghie.
- prrrrt prrrt non sento c'è un'interferenza.
- See, nel tuo cervello. Il fatto che tu non voglia prendere atto che tua figlia stia crescendo, non significa che questo non succeda a prescindere.
- Io non sono pronto.
- E io sì, scusa?
- Tu sei nata pronta.

Diosanto che fatica essere sempre così dannatamente all'altezza 24/7.
E ci chiamano il sesso debole.

21 marzo 2011

Roma di sole e d'azzurro

Il viaggio comincia nel momento in cui Lee chiede se siamo arrivati e non siamo ancora usciti dal cortile di casa, e succede tutte le volte. È come se fosse il La, l'interruttore On della partenza, l'attacco di un passo che conosciamo tutti.
Il viaggio è scandito dalle nostre voci, Lee che chiede di giocare al domino di parole (nave-vela-lama-mare-remo), Lui che canta le canzoni che sente senza azzeccare mezza parola, Roo che gioca e canta e gioca e parla, io che domando se quelli che stiamo ascoltando non siano per caso i Duran Duran (per inciso, non lo sono mai).
La colonna sonora dell'A1 per noi è un mix allucinogeno di canzoni per bambini e di canzoni per grandi che i bambini possono gradire, quindi si passa con eleganza dallo Zecchino d'Oro a Caparezza, da Alberto Fortis ai Black Eyed Peas senza che nessuno faccia alcuna obiezione.

La casa e la zia di Roma.
Roma per me è sempre stata un'isola felice. In passato, anche terapia. Lì potevo permettermi di resettarmi e inventare una persona diversa, potevo essere un monaco tibetano o una rockstar a seconda dei casi, ma più di tutto potevo permettermi il lusso di essere veramente me stessa, al netto di tutte le aspettative altrui che lasciavo a seicento chilometri di distanza insieme ai ruoli che giocavo nella mia vita di sempre.
Poter mettere così tanto spazio tra i se stessi di casa e i se stessi rinnovati dal viaggio è un lusso che bisogna potersi prendere, ed è quantomai prezioso tanto più si viaggia da soli. A casa della zia Esse ho svernato la fine degli amori, le crisi universitarie, quelle lavorative, da lì ripartivo con rinnovata energia, e la zia a coprirmi di affetto, cure ed attenzioni fino a farmi avere una pelle nuova e un quaderno diverso su cui scrivere pagine che fino ad una settimana prima non avrei mai pensato.
Libera.
Non eterodiretta.
Rinnovata.
Sempre io, ma diversa.
Ritrovare quella casa, che di per sè è una storia bellissima che si racconta in ogni oggetto, in ogni angolo, e ritrovare quella stanza di luce, con quel cielo fuori che a Milano ce lo scordiamo, è già essere in vacanza.

Roma.
Se ne sta lì, perfetta, eterna, e bellissima, ti grida quanto è meravigliosa ad ogni angolo, e tu ti riempi gli occhi di quel giallo che ti regala verso sera e te ne porti a casa un po'.
Io amo le piazze, Lui i monumenti, è sempre così del resto, Lui è solidità, io socialità. La città diventa familiare, la si gira in macchina come se fosse casa, la si gira a piedi perdendosi sempre un po', e mentre Lui vagheggia di venirci in bicicletta, io sogno di comprare ogni ultimo piano del centro con le travi a vista e l'affaccio su una piazza a caso - sindrome dell'immobiliarista, ogni volta che mi innamoro di una città vorrei comprarmici casa, ed esserne davvero parte.

I bimbi sono perfetti viaggiatori, si adattano alla novità come mai penseresti, considerato che a casa basta cambiare l'angolazione del cuscino preferito perchè venga giù il finimondo. E invece no, te li ritrovi lì, capaci di soprendersi di fronte a una fontana, di entusiasmarsi per la strada del muro torto fatta in macchina veloce, o per i gradini alti del Colosseo, sempre pronti ad una corsa, ad uno scatto dentro a una pozzanghera, per poi correre a chiederti un toast, un po' d'acqua, un abbraccio.
Prendono metro, prendono sole, prendono pioggia sempre con lo stesso identico entusiasmo, quello di essere insieme altrove, fuori dalla routine a trovare anche loro dei se stessi diversi da mettere alla prova.

Roma è per noi babysitter gratis e contenta, che ci tiene i bimbi ogni sera lasciandoci ritrovare occhi negli occhi, a parlare e parlare e parlare e tacere e parlare ancora, che sembra una vita che non ci vediamo eppure viviamo insieme, ma dove sei stato?, e allora recuperiamo tempo, distanze, chilometri, discorsi lasciati in sospeso, e quel modo di parlare che non sentivamo da un po', e quel modo di tacere che non sentivamo da un po', a riscoprirci stupidi e ridanciani, e a salutare Roma dall'ultimo dei 125 gradini dell'Ara Coeli, lassù da soli, mentre la città che si prepara per il sabato sera da qualche parte là in basso.

E poi via a casa, in attesa del prossimo viaggio, della prossima città, dei prossimi pensieri, dei prossimi noi.

16 marzo 2011

Monetina e voilà, c'è chi torna e chi va

Torno lunedì 21. Forse...

15 marzo 2011

Mea culpa (tardivo, come sempre)

Ci sono lezioni che la vita continua ad impartirmi e non c'è verso che io impari.

Tipo che se continui ad agire per non scontentare le persone a cui tieni molto, arrivi a un certo punto che devi porti una domanda fondamentale: conta di più non scontentarli o fare quello che è più giusto per te?
Se per una botta di fortuna le due cose coincidono, baci abbracci e pacche sulle spalle.
Ma se, alla fine, le due cose non collimano: guai.

Il mio grosso problema è che non c'è verso che io mi ponga quella domanda strada facendo, nooo... così sarebbe troppo semplice e troppo poco doloroso.

Quindi io proseguo sinceramente convinta di tutto, fino al punto in cui sono costretta a svoltare, e la cosa è assolutamente improvvisa, non premeditata, inaspettata innanzitutto per me, e quindi SBAM! la mia retromarcia vertiginosa assume tutti i connotati di uno schiaffone.
Ma tipo, dirlo prima?
Accanto alla definizione di tempismo c'è la mia foto.
Anche accanto alla definizione di rispetto per gli altri, per il loro tempo, e le loro energie, ci deve essere qualcosa che mi riguarda.

A questo punto, la mia foto c'è anche accanto alla definizione di MI DISPIACE, ma non mi aspetto che basti.

Non c'è un modo di mettere aria, spazio, chilometri tra io e me?
Che mi sto un tantino sulle balle, al momento.
Il che non significa che questa cosa non accadrà mai più in futuro, eh, sia chiaro, qui non si impara niente.

14 marzo 2011

Lo stretto indispensabile

Sto facendo le valigie, chè mercoledì l'allegra famiglia Zeta va a Roma. Quindi scrivo lunghe liste su foglietti sparsi che perdo sistematicamente.

In realtà, è piuttosto semplice: praticamente basta riversare l'intero contenuto dell'armadio dei bambini dentro la valigia, e poi giocare a tetris per far entrare anche le nostre cose da grandi nei diecicentimetricubici che avanzano.
I piccoletti sono pronti a qualsiasi evenienza, dal surf a Fregene alla scalata con Messner, dalla cena di gala in Campidoglio a una cavalcata a piazza di Siena.
Noi speriamo che ce la caviamo.
In ogni caso, come sempre nella mia vita, le parole "bagaglio" e "leggero" non riescono proprio a stare nella stessa frase, non lo so, non ce la faccio, è come cercare di mettere insieme due calamite che si respingono.

Ci manca solo il materasso sul portapacchi e poi abbiamo tutto.

11 marzo 2011

Dimenticare Coppola

Io ho un problema irrisolto con i miei capelli. Da sempre.
Avete presente quei bei capelli lisci che sei sempre pettinata, che come vieni fuori dalla doccia dai due colpi di asciugamano, e poi esci così, che tanto si asciugano da soli?
Ecco. Tutta un'altra cosa.
Io non so a cosa sia dovuto (sfiga?) che certe abbiano i capelli dritti (stronze) e altre ricci, io però sto esattamente in mezzo a questi due poli, con l'aggravante del crespo: due gocce di umidità ed è subito Macy Gray.

La lanetta.
Quegli odiosi ricciolini di capelli che ti arruffano le tempie, e ti danno sempre quell'aria di massaia a cui si rompono le buste della spesa in mezzo al mercato.
Ci combatto da una vita.
Stirature con phon, acido, piastra, il risultato è sempre vorrei-ma-non-posso, con quella sensazione di precarietà tipica delle cose innaturali.

Il colore.
Dopo quella volta traumatica in cui io e il mio parrucchiere di allora abbiamo avuto uno scambio di vedute su cosa si intenda per tono su tono (per me un riflesso, per lui arancione su castano), ho optato definitivamente per la testa monocromatica.

I tagli.
Ovviamente li ho provati tutti, il lungo, il corto (il pacioccone?), il medio, l'asimmetrico, il conformista, il petardo, il "le dita nella presa della 220V". Niente da fare.
Con l'aggiunta che trovare al giorno d'oggi un parrucchiere che sappia davvero fare il suo lavoro non è certo semplice. I saloni, elegantissimi, da rivista, tutti bianchi specchi e wengè con punte di smalto rosso sapientemente dosate qui e là, sono pieni di questi ragazzini sempre uguali ovunque, magri, efebici, wannabe brit-pop, con la cresta lunga, un taglio improbabile, e dei ciuffi di colore che non fanno presagire nulla di buono. Quando parlano di te lo fanno come se fossi una cosa loro: "E niente, per questi capelli, sai che fai? Me li lavi, mi metti un balsamo, me li asciughi, e poi due gocce d'olio e via".
Non tagliano con le forbici (antica, io, che penso ancora che si usino quelle), ma con quella specie di rasoietto per sfilare il taglio e togliere volume, oppure con delle forbici che farebbero la felicità di Lee, che hanno la lama a zig zag, con doppia curva e triplo toe-loop.
Ecco bisogna stare attenti ad usare quegli attrezzi sulla mia testa, la cui situazione è aggravata anche da qualche "rosa" qui e là - non ci si fa mancare niente da 'ste parti.
Se mi tagliano i capelli con quelle robe lì, io esco che sto benissimo poi la prima volta che li lavo da sola sembro un fungo atomico. Crespo.
Capelli indomabili, senza possibilità di gestione alcuna. Ci metto sopra un cappello e la sdrammatizzo così, però non può essere una soluzione definitiva, giusto?

Con il passare del tempo ho capito che i capelli lunghi non fanno per me, anche perchè li porto sempre legati, e oltretutto vorrei scongiurare l'effetto "dietro liceo, davanti museo" che purtroppo dopo i trenta è sempre in agguato, e quando vedo delle cinquantenni con i capelli lunghi fino al sedere freschi di piastra (a cui ovviamente si aggiunge il jeans skinny della figlia, e un trucco accennato à la Moira Orfei) ecco, anche no.
Di saloni ne ho provati tanti, da quelli che formano gli hairstylist del futuro, a quelli in cui ci lasci giù due stipendi e una cambiale, il risultato cambia di poco, c'è sempre il malefico rasoietto ad aspettarmi su quella poltrona.

La scorsa primavera decido di dare un taglio radicale. Capelli corti. Cortissimi.
Il taglio è scelto, ma dove vado?

Mia mamma mi propone la sua parrucchiera, prezzi modici, vecchia scuola.
Tanto peggio dei ragazzini non è possibile fare. Ci vado.

Entro nel salone un sabato mattina di sole (ci vuole il sole quando si va a tagliare i capelli, soprattutto i miei), supero la porta e mi ritrovo scaraventata negli anni '60. Un divanetto blu a microfiorellini bianchi fa bella mostra di sè in sala d'attesa, sul tavolino rivistacce di Signorini e campionari di colorazioni per capelli, il verde acqua delle pareti è fanè e non mi rilassa, ovunque poster appesi di qualsiasi taglio ed età, da Alessandra Amoroso a Gina Lollobrigida.
Sotto i caschi, un paio di nonnine dall'età indecifrabile (passano i settanta sicuro), con delle chiome candide a cui hanno fatto dei riflessi lilla e azzurri.
La musica in sottofondo, sparata a volume altissimo per superare il rumore dei phon, è liscio di serie B, ammesso che esista una serie A del liscio, con i testi ricchi di doppi sensi, e quel ritmo cadenzato che ti entra in testa e non te ne liberi più.
Una bella mazurca dal testo Vieni dentro mio caro amor fa da sottofondo al mio passaggio al lavateste. Ovviamente i miei capelli non sono mai stati tanto bene come in quel momento, e la domanda "ma cosa ci faccio qui?" si ripropone prepotente ad intervalli regolari.
HO.
PAURA.
Dopo lo shampoo e la consueta sfilza di richieste (vuole il balsamo? la crema? la mousse? la frizione? l'olio? supercazzola? comefossantani?) che declino elegantemente, eccomi lì seduta davanti allo specchio, tra una foto di Nadia Auermann e una di Sofia Loren. In ogni caso, struccata, coi capelli bagnati, sotto le luci al neon, e con un valzer lento dal titolo Come volano le ore a far l'amore, credo di aver raggiunto uno dei punti più bassi della mia autostima.
Ed ecco che arriva lei, un metro e sessanta scarso, tarchiatella, gonna al ginocchio, ballerine, gli occhiali da gatta, i capelli biondo platino cotonati. Sembra la versione più piccola della zia Assunta.
Le faccio vedere il taglio che ho scelto, lei abbassa gli occhiali per vedere meglio, mi guarda in faccia senza dire una parola, e alza un sopracciglio. Mi accorgo che mi sta studiando esattamente come io sto studiando lei.
Dopo di che, sempre senza fiatare, si avvicina il carrellino con gli attrezzi e io le chiedo se per cortesia può usare le forbici.
- Devo tagliare, cos'altro credi che usi?
Musica per i miei capelli.

Da questo momento mi rilasso, e la assecondo nel suo girovagarmi intorno, il taglio sembra già bello da bagnato, quando si asciuga finalmente ho la testa che desideravo, e stavolta sono certa che resisterà anche sotto i colpi dei miei lavaggi casalinghi.
Pago una cifra ridicola, e esco dal salone tutta contenta, canticchiando tra me e me "è la mazurca di periferia, ti vien la voglia di fare l'amor, eh!"

Il prossimo passaggio è il biondo platino. Domani gliene parlo.

10 marzo 2011

Due cuori e una capanna (da pulire)

Accompagno Lee all'asilo.
Svuotiamo lo zainetto nuovo, inevitabilmente delle Winx (addio indipendenza intellettuale, benvenuta omologazione alla massa), sistemiamo asciugamano, bicchiere e bavaglia, ed entriamo in classe.

Il suo amichetto preferito, Matteo, le corre incontro.

- Vieni Lee, giochiamo a mamma e papà. Tu ti siedi qui e io spolvero.

A-DO-RO.
È perfetto.

9 marzo 2011

È il balsamo o sei tu

(e niente, lo riporto anche qui).

La regola dell'amico, sì.
Qui siamo ad un picco poetico imprescindibile.
Che non esiste l'amicizia tra maschio e femmina lo sappiamo noi trentenni, lasciamo l'illusione agli adolescenti, del resto io stessa se me l'avessero detto a sedici anni me la sarei presa a morte e avrei cercato (patetici) esempi per dimostrare che invece sì.
No, non esiste l'amicizia uomo-donna nell'adolescenza, forse più avanti, devo valutare, ma altrimenti va sempre a finire che uno dei due ci vuole mettere il quartino di lingua, se non addirittura il quartino di cuore. E capita sistematicamente.
Ora avanti, fuori tutti gli esempi "nooo io avevo un amico tanto caro" ma se lo chiedi a lui sono pronta a scommettere che le mani le avrebbe allungate volentieri. Così, non l'ho mica inventata io questa cosa, guarda harrytipresentosally.
Da lì in poi l'amicizia, comunque vada, è irrimediabilmente finita.

Ok, le eccezioni. Un'eccezione è due che erano amici poi si mettono insieme, poi si lasciano, poi non si vedono per secoli, e forse quando si rincontrano possono essere amici, ma a quel punto ci sono tutti i paletti messi dai nuovi rapporti in atto, e comunque resta sempre quel retrogusto amarognolo del "com'è possibile che ti sei rifatto una vita, dopo di me". E quindi poi quella che si scambia per amicizia è di fatto un voler dimostrare quanto siamo state bene, e quanta bella ggente, e quante cose abbiamo fatto da quando non stiamo più insieme, e quanto ci siamo divertiti. No, non è amicizia, dai. Una volta o l'altra si torna a rimarcare qualcosa del passato, ma tu, ma io, ma noi, e la cosa finisce di nuovo.

Ecco, io credo che tutte, in zona Snobville e dintorni, una volta nella vita ci siamo innamorate del cantante dei P. Ma non l'avremmo mai ammesso neanche sotto tortura, noooo è solo un amico, seeee ciao.
In un periodo in cui bastava che uno fosse carino per attribuirgli in automatico un altro paio di pregi a caso, lui si distingueva per essere di una bellezza da togliere il respiro.
Quindi tutte amiche, sicuro, ma improvvisamente scollacciate, col jeans un po' più stretto, e il trucco un po' più marcato, e la risata che suona più alta, e improvvisamente tutte fan dei Metallica. Dieci minuti prima Jovanotti, e da lì in poi solo Metallica e hard rock.
Cioè, io ho letto la biografia del gruppo, ma ci si può conciare così!?
Io ho comprato "Cliff 'em all", ma ne vogliamo parlare!?
Il tutto per avere un minuto di argomento comune con lui, e fargli vedere che sono troppo l'amica della sua vita.

Per capire, lui:
rocker
poeta
uno dei due uomini al mondo che possono portare i levi's501 come dio comanda
capelli lunghi
occhi meravigliosamente profondi
e la voce, oddio la voce.

Niente, non c'era verso, far finta di essere amiche del cantante dei P. era una tappa fondamentale della crescita in provincia.
Tutte.
Cotte.
Completamente.
E lui concedeva a tutte gli stessi spazi (risicatissimi).
E nessuna si perdeva mezza data, sia mai che poi quella stronza della Bea si prende più spazio di quanto deve, no.

Poi una sera nefasta andiamo in pizzeria.
Noi tirate a lucido.
Lui in ritardo.
Ma poi arriva.
Faceva meglio che no.
Meraviglioso come sempre e anche di più, con quel tocco di eleganza mai concessa sul palco, che "sono un rocker non sono un modello, ok?"

Al suo fianco una specie di topmodel, di quelle che la natura ci prova proprio gusto a sbatterti in faccia quanto riesce a essere stronza, cioè unmetroeottanta, taglia36, con le tettone. Dai, si è mai vista una secca di unmetroeottanta con le tettone?
E tutte le amiconecomenoi, da quel momento sparite. Che ok siamo amici ma non è che mi puoi passare sopra con la macchina. Noooo, non avevo una cotta, checcentra, è solo che improvvisamente ho un sacco di cose da fare, sai con tutte le date che ho seguito, sono rimasta indietro coi compiti, e poi a me dei Metallica, francamente, ora te lo posso dire, mi piace il periodo più commerciale, ecco te l'ho detto, e i quasi 10 minuti di And justice for all mi fanno schifo, anche perchè è quantomai evidente che non c'è giustizia a questo mondo.

Col senno di poi posso dire questo. Che il mondo è piccolo e si dà il caso che nei miei pendolarsmi mi sia capitato di imbattermi nuovamente nel cantante dei P.
Non è pelato, non è grasso, non è cambiato: ha i capelli più corti, sempre di quel finto spettinato casuale che casuale non è per niente, ha sempre quella voce e i levi's501 gli stanno sempre da dio.
Però, anche da queste parti ne è passata di acqua sotto i ponti, e non mi basta più una chitarra strimpellata, e un paio di sospiri sul microfono per volgere il mio sguardo.
Ecco, il suo problema è che l'ho sentito parlare.
Ha un umorismo deprimente, un glossario ridicolo, argomenti soporiferi, in situazioni in cui si presume stia facendo il brillante per far colpo sulla scosciata di fronte a lui.
Sembra un giocatore di tressette del circolino con il bianchino spruzzato davanti.

Giuro, so' soddisfazioni.
Mai quanto quella di constatare che la sua ragazza di allora è magicamente diventata un cesso. Non è successo ovviamente, anzi.

Però almeno su di lui, il sennodipoismo che mi contraddistingue è stato quantomai soddisfacente. Tutti dovremmo avere un'occasione per ridimensionare quelli che una volta o l'altra sono stati i nostri miti.
A meno che il tuo mito non sia MaxPezzali, che si ridimensiona da se', lui.

Oblio

[Maglietta subito]

Vivo nell'oblio
ma ci vedo dell'ironia.

Chiara, via skype.

8 marzo 2011

È solo un altro punto di giallo

Considerato il peso che le donne hanno nelle istituzioni, nei ruoli di comando, nella società, non abbiamo bisogno di mimose per affrontare questa giornata e fare il punto della situazione, ma di birra a fiumi.
Quindi al grido di "meno mimose e più birre" accingiamoci a rispondere con un sorriso agli auguri in questo giorno, malcelando ciò che realmente pensiamo: cioè, che il fatto che esista una festa per noi circoscrive ad un unico giorno il bilancio altrui su ciò che facciamo, cosa che dovrebbe essere quotidiana, e accompagnata possibilmente da tappeti rossi, applausi, bonifici bancari.
E se pensano che basti un ramoscello di mimose per mettere i conti in pari, ecco, sbagliano di grosso.

Oh cielo, stamattina mi è presa piuttosto pesa.

7 marzo 2011

We were one, we were free

E poi c'è l'amicizia femminile. Ce ne sono diverse varianti, senza dubbio, a seconda dell'età, io ho avuto uno stuolo di migliori amiche pro tempore, e tutte le volte avrei scommesso che quella sarebbe stata eterna, ma alla fine la più radicata, nel tempo, è quella nata sui banchi di scuola. Che forse è il solo periodo in cui hai davvero bisogno di distinguere le amiche dalla Migliore Amica, dando a quest'ultima un titolo speciale, una sorta di medaglia d'oro che ne chiarisca la posizione su tutte le altre.
Sono molto violenta nelle mie manifestazioni, tendo ad assolutizzare qualsiasi cosa, sentimenti, gusti gelato, frasidilibri, universomondo.
La mia amica dell'adolescenza era A.
Credo di dovere a lei molti aspetti del mio carattere, e non per tutti devo ringraziarla, ma lei era con me ad affrontare quel periodo di montagne russe che è l'adolescenza, che ci vuole qualcuno seduto accanto a te quando sei là in alto e poi dopo là in basso a dirti che, sì, capita, poi passa.
A. ha sempre avuto un approccio chiaro alla vita.
La sua prima regola credo fosse "meglio essere invidiati che compatiti", quindi quelle cose da sfigate, e lacrime, e suicidi e marcomasini le lasciamo alle altre, perchè noi, noi due, siamo davvero troppo fighe.
E quindi niente, io che ero un po' portata per l'introspezione complessata, mi sono trovata con questa amica, mano nella mano, testa contro testa, ad attraversare gli anni del liceo, con un cameratismo, una vicinanza, una simbiosi che non era possibile vivere se non allora. E con quel voler dimostrare che a noi andava sempre tutto bene, forse ci siamo anche lasciate prendere la mano qualche volta.

Ci disegnavamo su tutti i quaderni con le teste attaccate, era la nostra firma, e lo eravamo davvero.
Dove c'era A. c'ero io e viceversa, lei ci metteva l'ottimismo, io l'energia.
E la nostra camminata, che sembravamo fatte apposta per camminarci accanto, e i pomeriggi in camera a scrivere, mettere musica, leggere frasi, e immaginare un futuro in cui io sarei diventata una famosa pianista e avrei vissuto in una ex-scuola di danza classica, e lei sarebbe diventata una stilista, certo sarebbe certamente andata così.
E gli amori, e le nuove scoperte, tutte le volte a parlare con l'altra se fosse giusta, sbagliata, tu che dici, io che penso, una certa cosa o un'altra.

Poi ovviamente c'erano anche i problemi. A. mediamente alta, capelli biondi naturali, lisci e lunghi fino al sedere, occhioni verdi da cerbiatto, un sorriso che ti portava via...
Bè insomma non è proprio facile portarsi a spasso un'amica così esteticamente ingombrante, quando non si è ancora nè carne nè pesce... come ci si può sentire quando il tuo ennesimo primo amore (lo erano tutti, quelli di quel periodo, o almeno così pensavo, finchè non è arrivato quello vero) si innamora di lei e non di te, e lei è tua amica, e le vuoi bene, ma che male che fa.
E niente, prendi e porti a casa, incassi, accusi, cresci. Avanti.

La sicurezza di A., che nasceva dal suo aspetto esteriore, veniva fuori in tutto: lei non seguiva le mode, ma le faceva, tutto nel suo abbigliamento era sapientemente organizzato per colpire, e ci riusciva sempre, tempo tre giorni ed erano tutte vestite come lei, la sua cameretta di ragazzina era un'esplosione di colori, ritagli, frasi, collage, sembrava che il suo corpo tutto ossa non le desse abbastanza spazio per tutto quello che aveva da dire, per tutti quei colori da mescolare, e allora colorava il mondo, e correva e si muoveva inseguita dal suo fiume di capelli oro.
Un giorno dipingeva una sedia, un giorno "non trovi che la tuta rossa sia bellissima", un giorno trovava un libro di frasi meravigliose, un giorno cantavamo gli U2.
Insieme sempre, cinque anni di fila, dai 14 ai 19, da bambine a ragazze.
Poi fine del liceo, università diverse, e quell'inaridimento che deriva dal diventare grandi, che mica si può vivere tutto come a sedici anni, ci sarebbe da impazzire se fosse così. O no?
Strade non solo diverse, ma diametralmente opposte.
Vite diverse, e senza più quella voglia di capire l'altra fino in fondo.
Non più le teste unite, ma due persone su due fogli diversi.
Inevitabile, ho capito, però...

Lei è la mia amica, la mia testimone, io le sarò sempre grata di quegli anni là, ma a volte mi sembra che il nostro sia più un affetto che scaturisce ancora come conseguenza di quel periodo e che non viene alimentato in altro modo, in un modo nuovo.
Un'amicizia che c'era e di cui resta solo l'involucro.

Non è dannatamente triste per due come noi?

4 marzo 2011

Il vangelo secondo Roo

- E l'anno prossimo la farà anche Roo la recita di Natale, vero?
- Io voglio fare il fiore, oppure la tempesta, e magari a Roo gli fanno fare Gesù bambino.
- Ne dubito Lee, dovrebbe essere buono per quello...
- Pecchè non posso fae Gesù io, pusami? (trad. scusami)
- Non lo decido io, Roo, l'anno prossimo all'asilo vedremo...
- (arrabbiatissimo) Io boyo fae Gesù! ba bene?!

E al grido costante e cadenzato di IO BOYO FAE GESU' per l'ora successiva, l'allegro terzetto è uscito a fare la spesa.

Forse devo limare un tantino l'egocentrismo di mio figlio.

3 marzo 2011

Nuova rubrica: Maglietta Subito! (cit.)

[a proposito di musiche di attesa telefonica]

"IL JINGLE TI QUALIFICA".
(Jokerz, via mail).

C'è genio, nell'aria, da queste parti.

Frauen in der Gesellschaft

Ma poi alla fine il problema non sono tanto gli uomini. O forse sì, se c'è bisogno di spot come questo per incoraggiarli al lavoro domestico (peraltro spot molto carino, eh).
Però gli uomini socialmente evoluti sono abituati ad avere accanto donne per cui occuparsi della casa, della famiglia, del Fornello (inteso come piccolo-mondo-antico) è un'occupazione come un'altra da dividere equamente all'interno dei ruoli familiari.
Il problema sono proprio le donne.
Perchè anche io, che mi ritengo piuttosto emancipata in tal senso, quando al sabato mattina, dopo aver fatto la spesa, e accingendomi a scalare una montagna di panni da stirare, vedo Lui che spontaneamente inforca guanti e spazzettoni con un bambino attaccato ad ogni gamba e va all'attacco degli acari della polvere come fossero i suoi più acerrimi nemici, ecco, c'è una parte di me, piccola ma presente, che comunque si sente un po' in colpa.
Perchè in fondo penso che anche quella cosa avrei dovuto farla io.
E poi mi sento in colpa per questo mio sentirmi in colpa, che-esempio-dò-a-mia-figlia.
Non se ne esce.

Ovviamente mi guardo bene dal palesargli questo mio disagio, anche perchè il suo retaggio educativo è quello del bimbo servito e riverito, con le infioratrici che gli gettano petali di rosa ai piedi dove cammina, lo sventolatore con le piume di struzzo, e la vestale che gli sbuccia gli acini d'uva, quindi il fatto che ora sia arrivato a fare spontaneamente quello che appura sia necessario fare in casa è comunque il frutto di una convivenza che dura da anni.

Lui è speciale, sì.
Non sbaglia nè la pratica nè la teoria.
Mi riferisco a quelle frasi odiose come "TI ho lavato i vetri", "TI ho apparecchiato la tavola": urticanti perchè sottolineano che ok, le ho fatte io, guarda che bravo che sono, ma di fondo penso che normalmente te ne debba occupare tu. Non lo fanno con cattiveria, eh, ma con una spontaneità che lascia inermi. Mio padre usa abitualmente queste frasi e mia madre sembra non accorgersene. Altra generazione, sì, ma fino a un certo punto. Sono molto più diffuse di quanto una scommetterebbe...

Bisogna contemporaneamente lavorare su due fronti, cioè sia su quello del "Anche io (donna) posso farlo", sia su quello del "Anche tu (uomo) devi farlo". Mica facile.

Io vedo che il retaggio che relega la donna ai lavori di casa è duro a morire, ed è molto più radicato nelle donne di quanto si pensi, e noto anche una grande indulgenza educativa nei confronti dei bimbi maschi rispetto alle loro coetanee femmine.
Non sono pochi i racconti delle mammefuoridallasilo (una categoria sociologica che andrebbe investigata in modo approfondito) che dimostrano una tolleranza nei confronti dei maschietti alle prese coi lavori domestici che non è riconosciuta alle loro sorelle. "Eh vabbè, - che importa se non vuole sparecchiare, anche suo padre non lo fa - del resto poi non sarà un problema mio", detto con il sorrisino di chi pensa che è la natura che li ha fatti diversi, e lei non ci può fare niente.

Sbagliato.

E l'industria del giocattolo rafforza questa tesi (Lee ha un kit da piccolo carpentiere, arancione e nero -come gli originali da adulti-, e tutti sono convinti che sia un gioco di Roo che occasionalmente sta utilizzando la sorella. Ecco, no).
Per non parlare di quanto sia esasperato tutto questo, in tv.
E a me monta la rabbia perchè io ne ho due, maschio e femmina, e non posso/non voglio permettermi di fare differenze.

Proprio perchè il mondo fatica ad arrivare ad una parità reale, almeno a casa mia l'equità è una regola.
Non c'è niente che Roo sarà esentato dal fare tra le cose che pretenderò da Lee, ci mancherebbe altro...
Ci penserà la vita a dire loro cosa possono fare e cosa no, almeno in casa le differenze non ci sono, e neanche gli incoraggiamenti a sviluppare un determinato potenziale.
Chissà perchè è più semplice pensare che lei farà la ballerina o la maestra, e lui l'astrofisico o il chirurgo. Ad occhio per quello che vedo essere la loro indole a quest'età, ma guardandomi bene da incanalarli su un determinato percorso, mi sembra più facile che sia lui a diventare ballerino e lei ingegnere.

Ma quanto siamo lontani ancora dall'eliminazione totale di quegli schemi sociali e mentali che impongono specifici ruoli a seconda del genere di appartenenza? Ho l'impressione che TANTO.
Anche noi donne di nuova generazione, abituate a lavorare fuori casa, quanto siamo state comunque condizionate in tale senso?

Allora debello le differenze da casa consentendo ai miei figli di scegliere all'interno di un ventaglio di futuri possibili che non ha ancora subito i drastici tagli delle imposizioni sociali. O delle occasioni che la società darà a loro in modo differente.
Esperimento teorico: se entrambi avessero la stessa indole, e lo stesso identico talento nel fare una determinata cosa, ed investissero lo stesso tempo-energie-sacrifici, sono certa che sarà Roo ad avere successo molto più di quanto sarà mai concesso a Lee.

Che amarezza, però.

E allora, almeno in casa, Roo: ti presento l'aspirapolvere, il ferro da stiro, e il sapone per le macchie difficili.
Un giorno una donna mi ringrazierà.

2 marzo 2011

Simone De Beauvoir 2.0

Sto per ingaggiare una battaglia contro secoli di ruoli sociali cristallizzati,
e il ruolo della donna,
e il piccolo-mondo-antico,
e dalla parte delle bambine (anche quelle cresciute, via).

Sarò armata di diplomazia (poca), pacatezza (ancora meno), e l'urgente necessità di stravolgere una routine per fare una cosa MIA.
La cosa buffa è che la battaglia non sarà contro un uomo (Lui, che anzi lotta al mio fianco) ma contro un paio di donne di altragenerazione e i loro condizionamenti sul mio pensiero.
Sarà durissima.

1 marzo 2011

Pelacarote come se piovesse

- Il mio umore ha un andamento come il pelacarote.
- Scusa?
- Ma sì, hai presente il pelacarote? Immaginatene tanti in fila, uno rivolto in alto e quello dopo in basso, e trovi l'andamento del mio umore.
- Sinusoidale si dice.
- Non è che se gli dai un nome fico allora è meglio eh, sempre di pelacarote si tratta.
- Mpf.

È proprio così, certi giorni mi prende proprio male che penso che quello sarà il mio stato mentale da lì in poi, per sempre.
Anche i picchi alti sono così, mi sembrano ben cristallizzati nel mio quotidiano, e quindi quando poi tornano quelli bassi per me è davvero, ogni volta, una sorpresa.
Ora sto in basso, e quindi mi è presa proprio nera.
No, non nera "ah ma che nostalgia", nera che mi sento protagonista di un libro che non ho scritto io, e non ho ancora capito se è un libro di barzellette o un noir.

In questi giorni mi dà fastidio tutto, dal modo di salutarmi delle mammefuoridallasilo, al modo di chiedere le cose di chi mi chiede le cose, vorrei correrecorrerecorrere, e gridare e gridare, e invece sono prigioniera di giornate che qualcun altro ha scritto per me.
Allora mi accuccio un attimo con la testa dentro quel libro altrui che sono questi giorni, e lascio correre, che tanto prima o poi passa, o almeno dovrebbe, ma finchè ci sono in mezzo sembra proprio che no, stavolta non ne vengo fuori.

Vorrei qualcuno che ogni tanto venisse a riempire il barattolino di sassolini che c'ho dentro il cervello, anzichè togliere, togliere, togliere.

Il pelacarote è uno stato mentale.
Il mio.