21 marzo 2011

Roma di sole e d'azzurro

Il viaggio comincia nel momento in cui Lee chiede se siamo arrivati e non siamo ancora usciti dal cortile di casa, e succede tutte le volte. È come se fosse il La, l'interruttore On della partenza, l'attacco di un passo che conosciamo tutti.
Il viaggio è scandito dalle nostre voci, Lee che chiede di giocare al domino di parole (nave-vela-lama-mare-remo), Lui che canta le canzoni che sente senza azzeccare mezza parola, Roo che gioca e canta e gioca e parla, io che domando se quelli che stiamo ascoltando non siano per caso i Duran Duran (per inciso, non lo sono mai).
La colonna sonora dell'A1 per noi è un mix allucinogeno di canzoni per bambini e di canzoni per grandi che i bambini possono gradire, quindi si passa con eleganza dallo Zecchino d'Oro a Caparezza, da Alberto Fortis ai Black Eyed Peas senza che nessuno faccia alcuna obiezione.

La casa e la zia di Roma.
Roma per me è sempre stata un'isola felice. In passato, anche terapia. Lì potevo permettermi di resettarmi e inventare una persona diversa, potevo essere un monaco tibetano o una rockstar a seconda dei casi, ma più di tutto potevo permettermi il lusso di essere veramente me stessa, al netto di tutte le aspettative altrui che lasciavo a seicento chilometri di distanza insieme ai ruoli che giocavo nella mia vita di sempre.
Poter mettere così tanto spazio tra i se stessi di casa e i se stessi rinnovati dal viaggio è un lusso che bisogna potersi prendere, ed è quantomai prezioso tanto più si viaggia da soli. A casa della zia Esse ho svernato la fine degli amori, le crisi universitarie, quelle lavorative, da lì ripartivo con rinnovata energia, e la zia a coprirmi di affetto, cure ed attenzioni fino a farmi avere una pelle nuova e un quaderno diverso su cui scrivere pagine che fino ad una settimana prima non avrei mai pensato.
Libera.
Non eterodiretta.
Rinnovata.
Sempre io, ma diversa.
Ritrovare quella casa, che di per sè è una storia bellissima che si racconta in ogni oggetto, in ogni angolo, e ritrovare quella stanza di luce, con quel cielo fuori che a Milano ce lo scordiamo, è già essere in vacanza.

Roma.
Se ne sta lì, perfetta, eterna, e bellissima, ti grida quanto è meravigliosa ad ogni angolo, e tu ti riempi gli occhi di quel giallo che ti regala verso sera e te ne porti a casa un po'.
Io amo le piazze, Lui i monumenti, è sempre così del resto, Lui è solidità, io socialità. La città diventa familiare, la si gira in macchina come se fosse casa, la si gira a piedi perdendosi sempre un po', e mentre Lui vagheggia di venirci in bicicletta, io sogno di comprare ogni ultimo piano del centro con le travi a vista e l'affaccio su una piazza a caso - sindrome dell'immobiliarista, ogni volta che mi innamoro di una città vorrei comprarmici casa, ed esserne davvero parte.

I bimbi sono perfetti viaggiatori, si adattano alla novità come mai penseresti, considerato che a casa basta cambiare l'angolazione del cuscino preferito perchè venga giù il finimondo. E invece no, te li ritrovi lì, capaci di soprendersi di fronte a una fontana, di entusiasmarsi per la strada del muro torto fatta in macchina veloce, o per i gradini alti del Colosseo, sempre pronti ad una corsa, ad uno scatto dentro a una pozzanghera, per poi correre a chiederti un toast, un po' d'acqua, un abbraccio.
Prendono metro, prendono sole, prendono pioggia sempre con lo stesso identico entusiasmo, quello di essere insieme altrove, fuori dalla routine a trovare anche loro dei se stessi diversi da mettere alla prova.

Roma è per noi babysitter gratis e contenta, che ci tiene i bimbi ogni sera lasciandoci ritrovare occhi negli occhi, a parlare e parlare e parlare e tacere e parlare ancora, che sembra una vita che non ci vediamo eppure viviamo insieme, ma dove sei stato?, e allora recuperiamo tempo, distanze, chilometri, discorsi lasciati in sospeso, e quel modo di parlare che non sentivamo da un po', e quel modo di tacere che non sentivamo da un po', a riscoprirci stupidi e ridanciani, e a salutare Roma dall'ultimo dei 125 gradini dell'Ara Coeli, lassù da soli, mentre la città che si prepara per il sabato sera da qualche parte là in basso.

E poi via a casa, in attesa del prossimo viaggio, della prossima città, dei prossimi pensieri, dei prossimi noi.

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