26 settembre 2013

Il giorno-uno

Non sono pronta ai giorni "uno" dell'iniziare a contare qualsiasi cosa.

Non sono pronta a quell'ondata di cose nuove, privazioni e mancanze in genere, che ti si rovescia addosso, quando finalmente dopo tanto procrastinare ti decidi a sfondare quel vetro che ti separa da qualunque cosa ti sembri di non raggiungere - persone, obiettivi, serenità, benessere -  salvo accorgerti che eri sott'acqua e che ora che hai sfondato il vetro stai annegando.

Non sono mai pronta ad affrontare quella mancanza di respiro, quell'affanno, quella sensazione di non farcela, di voler tornare al momento prima.

Che sia una dieta, una corsa, smettere di fumare, smettere dei gesti, quanto cazzo è difficile smettere dei gesti che ti sono così radicati da averti scavato un solco nel modo che hai di muoverti, quanto è difficile cambiare, anche quando lo sai che poi starai bene, che diventerai nuova, che imparerai altri gesti che ti scaveranno un nuovo modo di muoverti, che inventerai nuovi pensieri che ti diranno in che modo pensare queste cose nuove che farai, è difficile, è difficilissimo, perché oggi stai al giorno-uno e non ne sai proprio niente di come starai, sai solo che ti fa male tutto, ti manca tutto, a cominciare dal respiro, sai solo che ieri stavi meglio di così, e lo sai che poi migliorerà, ma in questo momento stai solo di merda e non sai neanche più come respirare e vorresti solo tornare indietro, a un attimo prima un attimo ancora.
E non c'è modo di saltarlo quello stramaledetto giorno-uno, non è che puoi dire "mi metto a dormire e ci penso domani che sarà il giorno-due", noooo, magari funzionasse così, il giorno-uno lo devi vivere, lo devi attraversare, piano, a passo di formica come quando da piccola mettevi il tallone di un piede davanti alla punta dell'altro, a misurare distanze, a camminare lenta, il giorno-uno è così, lo attraversi piano mentre ti lasci attraversare da tutte quelle cose forti fortissime che ti travolgono e devastano l'ordine almeno apparente che ce l'avevo qua un attimo fa, cercando di arrivare in piedi al giorno dopo senza vanificare quello che hai già fatto e sentito. Del male, perlopiù.

Io non lo so vivere il giorno-uno di niente.
E so che poi c'è il giorno-due, che non c'è due senza tre e il quattro vien da sé, ma quel dannatissimo numero uno che devo attraversare piano, io non sono mai pronta a farlo.
Non ho voglia di sentire.
Non ho voglia di superare.
Non ho voglia di smettere.
E invece.

13 settembre 2013

Cactus

È come se d'improvviso hai una stanza nuova.
Ci sono ancora i segni sui muri dei quadri che sono stati tolti, si respira nell'aria la presenza di chi e cosa c'era. Il suo profumo, la canzone che ha lasciato in repeat, il modo in cui colori prendono la luce.
Non ci sai stare ancora dentro, il vuoto ti disturba, troppi pensieri, troppi segni, quanta vita pulsa ancora su quei muri, su tutti quei segni in assenza, è come se i quadri che c'erano prima li vedessi meglio adesso che non ci sono più, ne ricordi i dettagli proprio ora che al loro posto c'è il vuoto, li vedi ancora lì, nella vernice non sbiadita della parete.
Come il segno dell'abbronzatura che resta sotto un braccialetto che hai perso.
Come la sensazione di avere ancora su i pattini, quando invece li hai tolti.
Come quella canzone in repeat che non sai perché ma continui a canticchiare.

E poi passerà il tempo e tu penserai che, dai, è proprio una bella stanza, che si potrebbe utilizzarla per altro, e vuoi aprire la finestra che l'aria fuori è fresca e fa venire voglia di rinnovo, quasi quasi cambi il colore delle pareti, un colore bello forte, e pensi ad altri quadri-profumi-musica da metterci dentro, è proprio una bella stanza ed è tutta tua, cominci a pensare che potresti entrarci e ci staresti davvero bene, te la godresti un sacco quella bella stanza coi colori nuovi, quante cose belle che non sai ancora di te potresti fare dentro quella stanza dai colori nuovi che ancora non hai scelto, potresti addirittura concederti il lusso di diventare un'altra persona, con colori nuovi anche tu come la stanza.

Ma lì in mezzo, nel centro della stanza, c'è un gigantesco cactus, con le radici spinte in fondo nel pavimento e rami che vanno dappertutto e che non ti consentono di muovertici dentro libero, una stanza potenzialmente stupenda che però non puoi usare.

Il passato è il cactus.
Il futuro è il cactus.
La paura è il cactus.
I ricordi, cactus.
Persone, cactus.
Routine cactus.
Depressione cactus.
Cuore-fegato-pancia cactus.
Ognuno ha il suo.

La forza di abbattere quel cactus, riprendersi lo spazio e riempire la stanza di colori nuovi; vivere, in pratica. Quanto coraggio ci vuole per farlo?