29 luglio 2011

L'eclissi

Una notte di eclissi. Ma la luna non c'era.
Una città.
Un ponte.
Sotto passavano treni, macchine, comitive di giapponesi, uomini al telefono con figli quasi sconosciuti, modelle che si affrettavano sulle loro gambe magre rese ancor più lunghe dai tacchi alti a raggiungere giovani dandy elegantissimi in ristoranti inavvicinabili dove avrebbero ordinato un'insalata.

Tante luci, di auto, di grattacieli vuoti, di tavolini all'aperto, luci di case in cui si tenevano cene, di cantieri aperti, di tram chiamati desiderio.

Una coppia.
"Mi ricordo quella volta che ho letto quella frase incisa dietro il tuo orologio".
"Hai un talento veramente inutile per il ricordo dei dettagli".
"Un giorno questa cosa mi ucciderà".
"Non oggi".
E si alzò, offrendole la mano e facendo partire proprio quella canzone che da sempre, sapevano, era la loro. E in quei passi, su quel ponte in una notte di eclissi senza luna, danzarono via le loro inquietudini, le incertezze, le domande sul futuro, tutti i loro "ma", i "se", i "quando" che non potevano esprimere.
In attesa della prossima eclissi, del prossimo cono d'ombra dove trovare il senso dell'essere ancora insieme.

28 luglio 2011

Accidia

Giorni senza bimbi, questi.
Li abbiamo portati di nuovo in Emilia dai nonni.
E sta andando tutto benissimo, là.
Anche qui, sì certo mi mancano, ma è uno stacco corto, leggero, e poi c'è sempre anche quella storia del "stanno taaaaaaaanto meglio là che a casa, in luglio".
Ecco.
Casa.
Sono a casa da sola ogni pomeriggio, dopo il lavoro.
Dice: chissà come ti diverti, come ti rilassi. Dice: chissà quanti libri leggi. Dice: chissà come te la godi.
Sì, in un certo senso.

Ovviamente essendo stata programmata da tempo, questa settimana, dentro ci dovevano stare una serie di cose. Del tipo, che so, andare a rifare i passaporti. Informarmi per il rinnovo della patente. Risistemare l'armadio con tutti i documenti che ormai sta esplodendo. Fare un giro di saldi, al netto di bimbi che mi spariscono nei camerini o peggio che li aprono proprio quando sto provando qualcosa. Leggere quel libro di mille pagine, con il gusto di sapere che hai tre ore filate da dedicargli, e non i ritagli di tempo. Volevo andare a vedere Giò Ponti alla Triennale. Informarmi per una serie di viaggi in programma. Smazzarmi le faccende burocratiche che con i bambini non. E ovviamente, vedere le amiche, gli amici, mio fratello.
Ecco, così ad occhio, io quante cose ho fatto di quelle sopraelencate?

Cinque? Non mi conoscete.
Tre? Ottimisti.

Z-E-R-O.

Mi concedo l'impagabile lusso del far nulla.
E quando dico nulla, intendo proprio nulla. A malapena mi faccio da mangiare. Sono una sedicenne apatica.

Me ne vergogno, eh.
Cioè mi rendo conto che c'è qualcosa che "tocca" se nell'unica settimana in cui ho un attimo per me, spendo quell'attimo a oziare sul divano, con la tv in sottofondo, a guardare fuori dalla finestra e basta.
Neanche "a leggere". Proprio solo a pensare.
Ecchecciavròmaidapensarecosìintensamente?
Non lo so. Pensare, pensare davvero, avere lo spazio fisico e temporale per sistemare tutti i pezzettini al loro posto, è una cosa che richiede allenamento. E io non sono più abituata. Inizio pensieri che non finisco, per dare spazio ad altri che poi si spostano perchè ne arrivano altri ancora. E non faccio ordine per niente, ma me ne sto sul mio divano rosso, a cercare di afferrare quantomeno il senso dell'insieme, e ogni tanto mi sembra che sì, ma molto spesso resto con quella sensazione di qualcosa che mi sfugge anche se ce l'ho lì in punta di dita (in punta di mente si dice?).
Accidia.
È un vizio capitale e io "celo".
Ovviamente la prossima settimana coi bambini non mi capaciterò di aver contemplato così tanto questi giorni, senza viverli davvero. E col solito sennodipoismo di cui ho piene tasche, borse, armadi, cassetti e laqualunque mi dirò che avrei dovuto, potuto, addirittura voluto ma poi la vita, signoramia.

Quando lo farò, ecco, due bei ceffoni ben piazzati, grazie.

26 luglio 2011

Amiche-amiche-amiche

È arrivata una notizia che aspettavo da tempo. È una di quelle notizie straordinarie, che ti lasciano un po' a bocca aperta, un po' commossa, un po' che non sai cosa dire, e vuoi solo abbracciare.
La mia amica A., quella A. che è stata tutta la mia adolescenza, quella A. a cui devo molto di ciò che sono diventata, quella A. che amiche-amiche-amiche, è incinta.
Che lo so che di fatto non cambia niente.
Non ci vedremo più di ieri, e non condividerà con me questo suo percorso, perchè questo non è un percorso che si deve condividere per forza con un'amica solo in virtù del fatto che ci è già passata (io non l'ho fatto).
Anche se eravamo amiche-amiche-amiche.
Io non me lo aspetto.
E so che andrà così.

Ché il tempo ci ha reso più riservate, e se prima i nostri pensieri erano immediatamente accessibili, ora no. Non so se questo sia una conseguenza del diventare grandi. O del fatto che quante più cose hai da proteggere, tanto più ti chiudi e diventi introversa. Io non lo so.

Ma questa è una notizia immensa per me.
Non solo per la gioia, inesprimibile, che si porta dietro.
Ma anche perchè, forse, mi capirà.
Capirà.
Capirà tutti i miei no, i miei "magari un'altra volta", le mie assenze, la mia introversione, la mia chiusura, il non riuscire a spiegare e far capire, e soprattutto il mio non voler spiegare e far capire.

E non ci sarà bisogno di parlare di quando non ci capivamo. Di quando le nostre parole erano gusci vuoti, una cosa normale per molti ma non per noi due.
Forse sarà un nuovo punto di partenza.
Una nuova fase, adulta, diversa, di amiche-amiche-amiche.
Con i tempi che sono cambiati.
Con noi che siamo cambiate.
Con il tempo che non è mai abbastanza vuoto, o abbastanza pieno.
Con quella voglia di piangere. E poi di ridere. E poi di piangere ancora.
Con un contegno che non ce la fa.
Con la voglia di gridare e incazzarsi e sbattere porte.
Con l'edonismo che va messo da parte perchè non sei più figlia, ma madre. E questo qui è il passaggio più forte.

Sarà una mamma imperfetta e straordinaria. E bellissima, bellissima davvero.

E forse un giorno anche lei racconterà al suo bambino di quando a scuola ci disegnavamo con le teste attaccate, e scrivevamo migliaia di pagine di Smemo, e cantavamo la nostra amicizia, e stavamo a parlare fitte fitte, occhi negli occhi, di noi, della vita, del futuro. E di quei bambini che non riuscivamo a immaginare, ma che in quelle costruzioni aspirazionali non mancavano mai.
E sarà bello.

24 luglio 2011

Tutte figlie della dottoressa Tirone

- Il Bounty? Ah, ma guarda che il Bounty è frutta. (La Ste)
- Il gelato con panna e cannella serve a drenare i grassi. (Sara)
- Se quando hai fame aspetti dieci minuti, in quei dieci minuti dimagrisci così dopo puoi mangiare quello che vuoi. (Tania)

- E quindi, dieta?
- Naaa, metto i tacchi. (Sanam)

- Sulla bilancia devi fare così: se è digitale ti appoggi un po' indietro, non proprio davanti dove ci sono i numeri; se invece ha la lancetta, basta che schiacci forte il piede sinistro, e vedi come scende il peso. (Fra)
- Per non mangiare tanto, prendi una cosa che non digerisci, che ne so, il peperone crudo, e te lo mangi tutto, così ci metti due giorni a tornare a posto, e in quei due giorni mangi poco o niente. (Tania)

- Prendiamo la brioche al pistacchio vero?
- Certo, il pistacchio è frutta.
- Zucchero nel caffè?
- Dietor. E la coscienza è salva. (La Ste)

- Se mangi col senso di colpa, ingrassi il doppio. (A.)
- L'ananas è l'anti-materia. (So)

Considerate le amiche con cui mi accompagno nella vita, la mia alimentazione "a petardo" è fin troppo equilibrata.

21 luglio 2011

Eh? (sottotitolo: e raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhauser, no?)

- E niente signora Lara, vanno sostituite le sonde lambda.
- ...
- Signora Lara?
- Si aspetta davvero che io sappia di cosa sta parlando?

Sonde lambda.
Mancano il capitano Kirk, Spock, e "beam me up, Scotty", e poi sotto il cofano credo ci sia tutta l'Enterprise. O la redazione di Voyager. Che poi forse è lo stesso.

Ho fatto l'errore di dire a Lui questa cosa che è successa alla mia macchina. Cioè che ha le lambda rotte.
Non credevo si potessero rompere anche quelle nella vita, vedi, non si finisce mai di imparare (e di rompere). Poi ho finto un'interferenza mica che iniziasse a spiegarmi al telefono "del perchè delle sonde lambda".
Però credo che stasera non mi potrò esimere dal ricevere un'altra lezione sul funzionamento del motore. E non ho neanche uno straccio di rivista da sfogliare, nel frattempo.

Farò un bel disegno coi pennarelli, mentre annuisco convinta, ovvio.

20 luglio 2011

Metti un giorno al lago (ma il lago, di preciso, dov'è che era?)

E niente, c'è che io lavoro in questo posto che è molto carino. Sono abituata ad associare le fasi della mia vita più alle persone con cui mi mettono in contatto che alle cose che specificatamente faccio. Per questo motivo sono riuscita a tollerare cinque anni di liceo sbagliato, solo perché a farmi compagnia, testa contro testa, c'era la mia amica A. e con lei altre due amichette G. e S. che sono state la mia squadra per tutto il percorso, cameratismo al femminile, ginettismo all'ennesima potenza, che chicciammazzannoi.
E quindi anche adesso che la-vita-come-l'ho-decisa-io mi ha portato a scegliere di fare un lavoro che non è propriamente "nelle mie corde", mi trovo a valutarne costi-benefici unicamente sulla base delle persone con cui mi mette in contatto. E il bilancio, neanche a dirlo, è smaccatamente positivo.

E niente, c'è che un giorno i capi hanno deciso di portarci in gita. Sì lo so che si chiama "team building", ma il nostro team è già abbastanza built, o almeno così sembra, quindi chiamiamo le cose con il loro nome, in soldoni siamo andati in gita al lago.



Ovvio che di mezzo ci doveva stare anche una bella riunione-brainstorming-brief-salamadonnacosa in cui parlare di quello che va e quello che non va, ma se prendi un dieci trentenni-e-passa e li metti nella condizione di ricreare l'atmosfera da weekend universitario, con tanto di lista della spesa scritta tutti insieme e divisioni di letti, materassini e spazio vitale, e "quello che russa ve lo tenete voi", ecco, il risultato è che la riunione è importante ma quel che resta è ben altro.

Aspirazionale.



Ognuno dice la sua. E io ovviamente la mia. Come un paguro che tira fuori prima un occhio e poi l'altro, e poi le zampe e poi attacca a correre (immagine meravigliosa quella del paguro, dai), ho iniziato a guardare oltre a quel lavoro che va-benissimo-ma-che-non-è-nelle-mie-corde. E quindi si tirano fuori sogni e aspirazioni e speranze e progetti, nell'ottica e nella volontà di esserci ancora, di restare lì, di crescere, e di constatare se c'è spazio per farlo. Io lo spero, ma poi in fondo, quando penso che alla mattina prendo il treno canticchiando e vado al lavoro con un'andatura allegra e spensierata che se fossi una bimba dell'asilo ci saltellerei su (e non escludo di farlo un giorno o l'altro), mi dico che va bene così perché ad andare bene sono le persone che stanno su questa strada con me (tranne in sindrome premestruale, ma questo è un altro discorso, si sa).

Che sono belle prese singolarmente, ma che in gruppo diventano anche altro. Avanti, fuori i manuali di sociologia, lo dicono tutti che ogni forma di agglomerato sociale dà come risultato qualcosa che è molto più della mera somma dei suoi componenti.
E quindi.
Quindi noi.




Sotto un gazebo coperto dai kiwi, su un tavolo all'aperto, con davanti un prato verde che chi viene da Milano non ci crede che esista un verde così, tra un caffè, una caraffa d'acqua, un biscotto e un panino con la Nutella, a parlare di noi, del lavoro, e di cazzate. Il segreto sta nell'avere un mediatore di quelli che mordono il freno quando, molto spesso, la cazzata tende a prevalere sul resto.
Ma comunque.
C'è quella che "nella vita io voglio solo fare marmellate", quello che instagramma foto di piedi, quella che esplode miccette e ne ride tutte le volte come la prima volta, quello che vuole fare video e spiega il training autogeno,  quella che parla poco ma quello che dice arriva sempre al punto, quello che vuole di più, quello che vuol dire di no, quello che il feticcio trash anni '80, e quella che stranamente ascolta più che parlare, e ovviamente quello che tira le fila del discorso che se ci lasci andare ciao.

E poi la grigliata, le risate, l'anguria, e ancora le miccette, e l'"ultimate", e il lago dei pirla, e il sole sul prato, Jovanotti in macchina, e "ma quanto parlate, ma quando mai, mi è venuto mal di testa", e come usare Twitter, ed "excel spesso è sottovalutato", e prestami i tuoi occhiali da sole, e quand'è stata Chernobyl, e un sacco di altre cose.

Ecco, diciamo che per essere una gita al lago, il lago ha avuto un ruolo decisamente marginale.
Macheccentra.

19 luglio 2011

E comunque /2

Su consiglio del mio webconsultant (maddai? non sapevo di averne uno), vi segnalo che sono tornati i Macchianera Blog Awards.

Che stanno a chiunque-abbia-un-blog come il Telegatto sta a Giorgio Mastrota (lui lo vorrebbe tanto), con un filo di "sorrisi is magic" in meno.

Ecco, se tra una Dania e uno Spinoza ci volete buttare dentro anche questo blog è bello perchè:
- mi date la scusa per essere io quella che va in trasferta per una volta (a dormire, in albergo a Riva del Garda)
- il premio si abbina squisitamente alle piastrelle della mia cucina
- ho pronto il discorso per il ritiro di un qualunque premio Nobel (non per la Fisica, credo, ma mai-dire-mai) da una vita che, con un paio di modifiche, è un attimo che va bene anche per ritirare questo.

Ovviamente in sottofondo, mentre salgo sul palco, ci voglio la musica di momentidigloria, ma forse sto andando un po' troppo in là con la fantasia.

In cambio vi prometto che smetterò di fare post dal titolo "E comunque". A me sembra un ottimo scambio.

17 luglio 2011

E comunque...

Alle quattro di domenica pomeriggio Lui è partito per l'ennesima trasferta.
Mica che poi una pensi di essere ancora in vacanza, sia mai.
I rientri soft, l'aria ancora incantata e sognante, ecco, un'altra cosa.

E domani è lunedì.
Vojomorì.

No no, tutto bene, eh.

Ehi, ciao mare

Il mare, il sole, il sale, le attaccature dei capelli che diventano bionde, i piedini abbronzati, le chiacchere e i discorsi seri, le formine, gli asciugamani colorati, il passeggino porta tutto, le camminate a piedi nudi, le risate poderose da vacanza, la sabbia, gli occhi chiari che sembrano più chiari, i vetrini levigati, le doccette post-bagno, nuove forme di sarcasmo familiare, il profumo di  doposole, la sigla di casavianello, gli occhi scuri che sembrano verdi, i sassi meravigliosi, le lenzuola fresche e pulite dopo la doccia, le carezze, le onde alte, i braccioli rosa e blu, le corse, le rincorse, le strade percorse, l'inutilità dell'orologio, i tuffi, il panfocaccia, i finestrini abbassati, la barbie Turica, quella galleria così lontana, la loro spiaggia preferita, la nostra spiaggia preferita, gli occhiali da sole, nuove forme di umorismo infantile, la frutta buonissima, la siesta pomeridiana, l'ombelico del mondo, il profumo di salsedine la mattina, i sassi bianchi da dipingere, i piccoli tesori che regala il mare, la pizza sul tagliere, i jeans leggeri, i piedi nudi in spiaggia di sera, i giochi al chiaro di luna, la birretta amica, il karaoke che non ce la fa, i braccialetti di Lee, il perchè del riflesso della luna, i parchetti del pomeriggio, i baci salati, i secchielli carichi di mare, l'apecar di Roo, gli artisti di strada, i negozi di cineserie, il gelato, le sbarre dei passaggi a livello, "parcheggia pure qui", la nuova fase di indipendenza, la vicinanza, il mare pieno di "briciole di sole", le foto belle, i calzini per il cellulare, la pelle, i lampioni tondi e gialli, i rayban finti, le emozioni vere, lo jogurt al caramello, i kiwi, i pescatori, le viuzze fresche sempre in ombra, dove eravamo rimasti, i costumini nuovi, la vanità abbronzata, "lei ballerà tra le stelle accese", il sogno di quella casa gialla sul mare, la borsa nuova, la giostra e il brucomela, gli occhi a controllare il cielo, le domande di Lee, lo scivolo gonfiabile, i fuochi d'artificio, le scoperte di Roo, i progetti di chilometri da fare-posti da vedere-obiettivi da raggiungere, la luna rossa, i caratteri diversi dei bimbi così complici e amici, le ore piene di riposo, quelle piene di silenzio, quelle piene di parole, il sole che filtra tra le tapparelle, il profumo di brioche sul lungomare, l'anguria, le nuove sicurezze, i tramonti, e noi-noi-noi.

Ancora.

10 luglio 2011

Lettere dal fronte (del porto)

Credo di essere nel posto con la più bassa densità di congiuntivi e condizionali usati in modo corretto dell'universomondo.
Oggi, approfittando dell'entusiastica disponibilità di Lui, che li ha impegnati per mezz'ora nella costruzione di un'improbabile architettura futuristica sul bagnasciuga (ma un castello come fanno tutti, no? no) mi sono sdraiata al sole, occhi chiusi, e mi sono immersa in quel circo a cielo aperto che è il microcosmo della spiaggia.

Il fuoco incrociato delle varie conversazioni è qualcosa di delizioso.
- Matteo, non sudare!
- E perchè?
- Perchè c'era una nutria.
- Ma dove l'hai vista, Marisa?
- In processione con il santo, ieri sera.
- E beve ancora tanto?
- Naaa, adesso mette la protezione 10!
- Giuuuuuuuuuuuuuuuuuuuliaaaaaaaaaaaaaaa, vieni qui che è sgonfiooooo!!
- ...a dieta da sei mesi.
- Eh, non si vede.
- Togliti il pezzo di sopra, dai.
- Non posso, ho la gastroenterite.
- È troppo grosso, non entra.
- Con un po' di crema va meglio.

Cose così.

I tipi da spiaggia.
Sono caratteristici, sono sempre gli stessi e si trovano su tutte le spiagge italiane.

Nella fattispecie.

I pontificatori. Loro non parlano, tengono comizi. "E quanto è bravo Berlusconi", e il calcio, il motomondiale, la pesca d'altura, lo scopone scientifico, anche il puntocroce, di sicuro come lo fanno loro nessuno mai, il tutto declamato ad un volume da tromba da stadio, che niente, non puoi che sorbirti la loro lezione. O accendere l'iPod, ovvio.

Le mamme italiche. In un modo o nell'altro ci si finisce sempre in questa categoria. Sono quelle che gridano il nome dei loro figli infilando una sequela di vocali prolungate, che puliscono la faccia incrostata dei loro pargoli con una passata di dito imbevuto di saliva, che si scucciolano un bimbo sull'asciugamano, che hanno teglie di pasta con le melanzane per un sano spuntino di metà mattina; sono quelle che ballano wakawaka senza vergogna anche laddove un po' ce ne vorrebbe, quelle che giocano a Uno e vogliono vincere a tutti i costi, quelle che stanno sempre con lo spray Protezione Mille a portata di mano, armate, quelle che vogliono giocare a pallavolo e poi si giocano una caviglia, quelle che poi ritrovi anche al parchetto più agguerrite che mai.

I neopapà. Camminano con un moto perpetuo sul bagnasciuga con in braccio questi frugoletti di quattro chili scarsi, avanti e indietro per ore, perchè i piccolini dormono solo se cullati dal rumore del mare e solo ed unicamente se si cammina. Appena si fermano, "'nghè", eccoli lì che si ridestano arzilli e quindi via per nuovi chilometri in solitaria, incrociando altri papà camminatori stravolti come loro. "Ma il tuo dorme la notte?" "Non più di mezz'ora di fila". Le mamme sono spiaggiate qualche metro più su, a pelle d'orso, a recuperare il sonno perso, appunto. E io li guardo e sorrido, non solo perchè anche noi eravamo così, identici, ed incredibilmente ne siamo venuti fuori, ma anche per la consapevolezza che da quella fase non ci ripasseremo mai più, e per la prima volta in vita mia lo dico senza alcun tentennamento o nostalgia, anzi, godissimo.

Le cinquantenni wannabe. Hanno bikini da ventenne e uno chignon di pelle tirata dietro la nuca, sono imbottite di botox, e fumano sigarette sottilissime, dietro occhiali giganti. Intanto verificano il grado di apprezzamento dei signori tutti intorno. Praticamente io tra qualche anno.

I vitelloni. Vanno dai 30 ai 60 anni, ma l'approccio è sempre quello. Ce ne sono sempre. Ce ne sono tanti.

Gli sportivi. Quelli che quando hanno finito di correre sul bagnasciuga, giocano a racchettoni, poi ti abbattono il figlio con una pallonata, ti decapitano la figlia col frisbee, e poi si tuffano in acqua facendo un gran botto proprio mentre tu sei lì che entri piano piano, a dosare ogni goccia che ti raffredda la pelle con una precisione da alchimista. Niente, ti ritrovi completamente infradiciata e con l'insulto a fior di labbra, ma poi vedi la loro tartaruga addominale e "cos'è che gli volevo dire?".

Le bimbette wannabe. Hanno parei attillati, microbikini vuoti e zoccoletti con il tacco. E hanno nove anni, ovvio. Lee le guarda in adorazione, e prova a formulare una richiesta che viene bloccata sul nascere. "Te li scordi, i tacchi. Ne riparliamo a sedici anni forse, ma a quel punto sarai tu a non volerli più". "Ma la sua mamma glieli ha comprati". "E la tua invece no, pensa che sfortuna". Fine del discorso.

Le famiglie nordiche. Hanno minimo tre figli, tutti di quel biondo quasi bianco che è quasi offensivo per chi in adolescenza si è ammazzata di crystal soleil. Ecco, io propongo uno stage in Danimarca, o diosadadovevengonoquesti, per tutti i futuri genitori. Titolo del corso "come ti gestisco con aplombe una famiglia numerosa". Non li senti mai. Non gridano. Hanno quell'aria rilassata di chi si gode la vita con quattro figli al seguito. Come diavolo fanno? E soprattutto come diavolo fanno a resistere in Italia? Sordità, non c'è altra spiegazione.

Le coppiette. Quelle che puccizzano anche in piena bimbolandia, salvo poi dover prendere il sole a pancia in giù per il successivo quarto d'ora. Roo adora le coppiette. Si avvicina, li ascolta, e poi torna da me dicendomi con lo stesso tono "amooore, ti amo tanto".

Il gruppo di ginette che arriva la mattina presto, si rifiuta categoricamente di mettere qualsiasi forma di protezione solare, passa la giornata in spiaggia, e le ritrovi nel tardo pomeriggio letteralmente cotte-ustionate, con la febbre che sta già cominciando a salire. Io ero così. La sto pagando con gli interessi, ora, bestfriendforevah di ogni forma di eritema solare.

Ma il premio spiaggia 2011 lo vince lei, il mio idolo.
Io e Lui l'avevamo già incrociata anni fa. Quel pomeriggio ce ne stavamo a polleggiare al sole su una di quelle piattaforme galleggianti che vengono ancorate in mezzo al mare, a 50 metri dalla spiaggia. All'improvviso arrivò questo gruppetto di tredicenni, tre maschi, gnappetti in fase di cambio di voce, e due femmine. La prima delle due già molto carina, mediterranea, con i fianchi pronunciati e delle tette enormi. La seconda secca secca, acerba, lunga, piatta come una panca, occhi verdi, una bocca stupenda in cui però regnava sovrano un apparecchio fisso.
Ovviamente i tre facevano a gara per attirare le attenzioni della prima, in quel modo fatto di doppi sensi poco riusciti, pugni, spinte e tuffi di testa, tipico del galletto tredicenne. Lei ci soffriva un po', poverastella, e ce la metteva tutta per attirare l'attenzione, ma con poco successo. Quanto fa una tetta a tredici anni, poco altro, eh. Lui provò a dirglielo: "Ragazzi, non avete davvero capito niente, io ve lo dico. Ne riparliamo tra qualche anno".
Ed eccola lì.
Nessun apparecchio, la bocca è ufficialmente un capolavoro, gambe lunghissime, fianchi stretti, tette, una meraviglia.
Quei tre gnappetti sono cresciuti e stanno ancora lì, ovviamente c'è anche l'amica mediterranea, tanto precoce nello sviluppo quanto nell'imboccare il viale del tramonto, e ora sono tutti presi da questa cosa che è sbocciata sotto i loro occhi "e chi l'avrebbe mai detto".
E lei, con mio sommo godimento, non se li fila di pezza.
Sono soddisfazioni.
Il cigno, gli anatroccoli, quelle cose lì.

C'è tutto un mondo in costume da bagno.

1 luglio 2011

Le vite degli altri / 2

Continuo a guardare le persone intorno a me. Soprattutto nei luoghi affollati, spiagge, parchi, centri commerciali. Continuano ad incuriosirmi le storie che ci sono dietro, storie che invento io e che non troveranno mai conferma alcuna.
La gente.
Strano concetto, nome singolare che indica una molteplicità di cose.
Eppure quando poi ci invento sopra delle storie, la gente smette di essere plurale e per un momento diventa singolarmente protagonista.
Come dei pesci in un acquario, io li osservo e mi porto a casa i loro colori.
Ecco quelli che mi hanno colpito di recente.

Una mamma giovane, magra, bionda, sportiva, che corre di buona lena in un parco. Niente di particolare fino a qui, se non fosse che le sue mani spingono un passeggino dove dormono due gemelli piccoli. Lo fa come se fosse la normalità, ma io mi chiedo, dov'è il papà dei bambini? Allora penso semplicemente, e lo spero, che il papà sia solo in trasferta, e lei che dopo il parto si sente appesantita non può mancare il suo appuntamento con la corsa, neanche a costo di portarci i bimbi. Sì sì, dev'essere così per forza.

Una coppia seduta all'ombra sul prato, l'uno accanto all'altra. Guardano nella stessa direzione di fronte a loro, come se fossero in macchina, o forse solo per timidezza, o forse solo per dirsi che sì, stanno guardando dalla stessa parte e la strada è quella e si va di là. Siedono vicini, lei gli appoggia il mento sulla spalla, mentre lui parla, lui si gira e per un attimo, uno solo, i loro volti sono davvero vicini, poi parla lei che non tiene mai ferme le mani, poi ridono, poi parlano, poi si abbracciano sdraiati sull'erba. Sono in una bolla, niente li colpisce davvero, sono nel loro mondo, esclusivo ed escludente, non ce n'è per nessuno.

Gruppo di sportivi che corre appresso ad una specie di nazi-allenatore. Non sono tutti molto convinti di ciò che stanno facendo, ma hanno quella spinta propulsiva data dall'appartenenza a quel gruppo in quello specifico momento. E quindi ci credono. E ci credono parecchio.

Altra coppia: questi camminano. Hanno un ritmo che sembrano fatti apposta per camminarsi accanto.
Mentre proseguono si vedono i loro avambracci che si sfiorano nel movimento. Lei avanza di mezzo metro e dice qualcosa che fa ridere lui, che la recupera, la gira e la abbraccia. Lei fa finta di tenere il muso ma poi non ce la fa. Questi due qui si vogliono veramente bene. C'è una complicità di fondo così tangibile che fa quasi male, che tutti secondo me la vorrebbero una complicità così, ma pochi la raggiungono. Una complicità che si irradia da loro con un potere detonante fortissimo, che ti ritrovi a guardarli e non puoi che sorridere.

Donna sola sdraiata a prendere il sole all'ombra di un grande albero, in mutande e reggiseno, veniva voglia di dirglielo che così, signoramia, non si abbronzerà per niente ma veda lei.

Donna sola in stazione seduta di fronte a una libreria, si guarda intorno e aspetta, e controlla il telefono, e guarda l'orologio, e sorride, e sistema i capelli, e si specchia nella vetrina, impaziente, trafelata, inquieta, e di sicuro aspetta qualcuno di importante, l'aria è quella dei grandi ritorni.

Famigliola esteticamente da catalogo, con bambino che strilla oltranzista, i genitori non si parlano e non gli parlano. Tensione. Il bambino continua a gridare. Se non fanno qualcosa entro un minuto lo consolo io, che ho già i nervi sgretolati dal suo pianto e dal silenzio truce tutto intorno. Perchè non parlano?

Amici al bar, seduti sugli sgabelli inchiodati a terra. Belli, felici, sorridenti. Fuori c'è il sole e loro sembrano parte di uno di quei filmati aspirazional-emozionali  che abbiamo visto tutti una volta nella vita, dai, di quando in tv ti vogliono far capire come sono delle persone che stanno bene insieme, ecco, così.

La gente è matta. La gente è strana. La gente è straordinaria e, a volte, bellissima.

Poi parliamo anche dell'umanità da spiaggia. Un trattato di sociologia, bisognerebbe scrivere...