1 luglio 2011

Le vite degli altri / 2

Continuo a guardare le persone intorno a me. Soprattutto nei luoghi affollati, spiagge, parchi, centri commerciali. Continuano ad incuriosirmi le storie che ci sono dietro, storie che invento io e che non troveranno mai conferma alcuna.
La gente.
Strano concetto, nome singolare che indica una molteplicità di cose.
Eppure quando poi ci invento sopra delle storie, la gente smette di essere plurale e per un momento diventa singolarmente protagonista.
Come dei pesci in un acquario, io li osservo e mi porto a casa i loro colori.
Ecco quelli che mi hanno colpito di recente.

Una mamma giovane, magra, bionda, sportiva, che corre di buona lena in un parco. Niente di particolare fino a qui, se non fosse che le sue mani spingono un passeggino dove dormono due gemelli piccoli. Lo fa come se fosse la normalità, ma io mi chiedo, dov'è il papà dei bambini? Allora penso semplicemente, e lo spero, che il papà sia solo in trasferta, e lei che dopo il parto si sente appesantita non può mancare il suo appuntamento con la corsa, neanche a costo di portarci i bimbi. Sì sì, dev'essere così per forza.

Una coppia seduta all'ombra sul prato, l'uno accanto all'altra. Guardano nella stessa direzione di fronte a loro, come se fossero in macchina, o forse solo per timidezza, o forse solo per dirsi che sì, stanno guardando dalla stessa parte e la strada è quella e si va di là. Siedono vicini, lei gli appoggia il mento sulla spalla, mentre lui parla, lui si gira e per un attimo, uno solo, i loro volti sono davvero vicini, poi parla lei che non tiene mai ferme le mani, poi ridono, poi parlano, poi si abbracciano sdraiati sull'erba. Sono in una bolla, niente li colpisce davvero, sono nel loro mondo, esclusivo ed escludente, non ce n'è per nessuno.

Gruppo di sportivi che corre appresso ad una specie di nazi-allenatore. Non sono tutti molto convinti di ciò che stanno facendo, ma hanno quella spinta propulsiva data dall'appartenenza a quel gruppo in quello specifico momento. E quindi ci credono. E ci credono parecchio.

Altra coppia: questi camminano. Hanno un ritmo che sembrano fatti apposta per camminarsi accanto.
Mentre proseguono si vedono i loro avambracci che si sfiorano nel movimento. Lei avanza di mezzo metro e dice qualcosa che fa ridere lui, che la recupera, la gira e la abbraccia. Lei fa finta di tenere il muso ma poi non ce la fa. Questi due qui si vogliono veramente bene. C'è una complicità di fondo così tangibile che fa quasi male, che tutti secondo me la vorrebbero una complicità così, ma pochi la raggiungono. Una complicità che si irradia da loro con un potere detonante fortissimo, che ti ritrovi a guardarli e non puoi che sorridere.

Donna sola sdraiata a prendere il sole all'ombra di un grande albero, in mutande e reggiseno, veniva voglia di dirglielo che così, signoramia, non si abbronzerà per niente ma veda lei.

Donna sola in stazione seduta di fronte a una libreria, si guarda intorno e aspetta, e controlla il telefono, e guarda l'orologio, e sorride, e sistema i capelli, e si specchia nella vetrina, impaziente, trafelata, inquieta, e di sicuro aspetta qualcuno di importante, l'aria è quella dei grandi ritorni.

Famigliola esteticamente da catalogo, con bambino che strilla oltranzista, i genitori non si parlano e non gli parlano. Tensione. Il bambino continua a gridare. Se non fanno qualcosa entro un minuto lo consolo io, che ho già i nervi sgretolati dal suo pianto e dal silenzio truce tutto intorno. Perchè non parlano?

Amici al bar, seduti sugli sgabelli inchiodati a terra. Belli, felici, sorridenti. Fuori c'è il sole e loro sembrano parte di uno di quei filmati aspirazional-emozionali  che abbiamo visto tutti una volta nella vita, dai, di quando in tv ti vogliono far capire come sono delle persone che stanno bene insieme, ecco, così.

La gente è matta. La gente è strana. La gente è straordinaria e, a volte, bellissima.

Poi parliamo anche dell'umanità da spiaggia. Un trattato di sociologia, bisognerebbe scrivere...

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