24 maggio 2011

Metrolandia

Le signore che quando si siedono in metro appoggiano il sedere proprio in fondo al sedile e i loro piedi restano a penzoloni nel movimento dato dalla corsa del convoglio, destra-sinistra-destra-alla velocità del treno.
Quelle dall'età indecifrabile che non sai se cedere loro il posto o meno, per paura che si offendano "che non sono mica vecchia, io".
Le ragazze in carne, con quella pancetta che non sai se sia bimbo o birra, che fai?
Le signore che chiedono il divorzio al telefono, ad un volume che tu ne faresti a meno.
I signori che puzzano di sudore alla mattina alle sette, che andrebbero studiati, io se fossi la neutroroberts ci penserei, se risolvi il loro problema diventi leader del mercato, sicuro.
La zingara con la scabbia che ce la mette tutta per attaccartela.
La coppietta che limona nella calca delle ore di punta, e non c'è modo di guardare altrove.
Le modelle, che incontri sistematicamente le mattine che ti senti una caccola.
Il cinese che parla al telefono tutto il tempo.
I modelli, che incontri sistematicamente le mattine che ti senti una caccola.
Quelli di cui parli male per ore a dieci centimetri da loro, salvo accorgerti che possono capirti perchè non sono stranieri ma bergamaschi.
Il violinista che non ce la fa. E non c'è niente di più lacerante di un violino che non ce la fa, per i nervi intendo.
Gli studenti di 35 anni con l'invicta rosso e blu, che ti viene voglia di dire "o la finisci o ti trovi un lavoro".
I tre, sono sempre tre, medio-orientali che parlano tra di loro, poi guardano la bionda scosciata, la indicano con un cenno del mento e tornano a parlare fitti fitti.
La compagnia di adolescenti con il più fighetto che lo individui subito anche perchè ha intorno tre ragazzine che ridono per ogni stronzata che dice, e altre quattro sedute che odiano le prime tre, ma a lui lo lovvano tutte quante.
Gli yuppies che non hanno ancora capito che Wall Street è da un'altra parte e Gordon Gekko è un'altra cosa, ma se la credono un sacco, ah se se la credono.
I finto-leoncavallini, sempre pronti per fare la colletta con in tasca i soldi di paparino e il Porsche parcheggiato in garage, ma "mi metto le Birkenstock e il pantalone di lino e faccio finta di essere un poveraccio", peccato che si accompagnano a chi poveraccio lo è davvero (molto Ovosodo a voler vedere).
La donna che si trucca, ce n'è sempre una, e poi il treno frena e le parte lo svirgolo di rossetto, e lancia improperi che stridono con l'immagine di signorabene che voleva dare.
Quello con le Allstar senza calze in luglio35gradi, che viene proprio a sederti vicino a te, e tu cominci a pregare che un raffreddore, o peggio, ti colga subito.
Quelli con la lampada sempre fresca, e il jeans sempre stretto con ventiquattrenne sempre magra al braccio, e "non posso portarti a casa da me, che c'è mamma". A 40 anni.
La scolaresca in gita che arriva tutte le volte che hai un principio di emicrania a Loreto (e un trapano nel cervello a Lima).
Quelli che pontificano sulle notizie che leggono sulla free-press e controllano intorno se qualcuno li stia ascoltando e se stanno andando forte o meno. Ecco, no.

E infine noi gine, che siamo tante o poche a seconda dei momenti, e siamo ovunque, che ci riassumiamo la sera prima, l'ultima settimana, l'ultimo mese, "ma da quanto tempo non ci vediamo?", e gli stati di avanzamento dei lavori, siano essi di casa, d'amore o di figli, sfoderando perle di saggezza metropolitana intervallate da versi di canzoni e sociologia dell'ovvio, circondate dalle altre persone che se la ridono sotto i baffi, anche quelli con le cuffie evidentemente spente, con quella voglia di raccontarsi tipica di noi donne, e quella parlantina galvanizzata dai sorrisi intorno a noi.

Oh, poi magari ci odiano, eh, ma non sembra.

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