9 maggio 2011

Familiarismi

Mi ricordo la prima volta che sono entrata a scuola.
O la prima volta in cui sono entrata in quella che sarebbe diventata la mia casa.
C'era quell'odore particolare, quello che noti al massimo per un paio di settimane e poi il tuo olfatto si assuefà a quelle note e non le percepisce più, quello è il momento in cui quel posto diventa davvero "casa".
Che poi, se ci torni sopra con la memoria, non sai individuare quale sia stato il momento preciso.
Sai solo che quell'odore non lo senti più: sei a casa.

Ripenso a tutte le volte che sono passata attraverso una prima volta. Fortunatamente tante, e ce ne sono sempre di nuove. Menomale.
La volta che sono entrata in quell'ufficio ed era tutto così lucido-bianco-cristallo-acciaio, e mi chiedevo quale posto di quello spazio così futuristico avrei colonizzato con il mio disordine, i miei colori, i miei mille post-it volanti.
La volta che ho fatto il mio ingresso all'università, e devo dire che per quanto io l'abbia frequentata poco, tornarci è comunque constatare un senso di familiarità, con le panchine in cortile, in attesa dell'ennesimo appello o dell'ennesimo risultato, e le stronze che ti vogliono interrogare per confermare la loro preparazione e ti fanno le domande più assurde per dimostrarti che no, non sai proprio tutto, "scusate starei prendendo il sole, grazie". Ricordo la paura del primo giorno lì dentro, il non capire la logica di distribuzione delle aule, e dove sta la libreria? e la biblioteca? e il bar? e poi, magicamente, casa anche lì.

La mia prima lezione di quella ginnastica, quella che poi ti insegnano a fare le acrobazie sulle diagonale come in tivù, e quell'odore di tappeti gommosi, e spogliatoio di bambine, e attrezzi, e calce.
La mia prima vera lezione di pianoforte, con colei che sarebbe diventata un'altra mia famiglia, e avevo paura, e quel pianoforte con quei tasti che non rispondevano al mio tocco come avrei pensato, e poi invece.
La volta che ho accompagnato Lee all'asilo, che c'era tanta neve così, e non sapevo dove mettere-appoggiare-archiviare le mille cose che ci avevano chiesto di portare, ora anche quello è familiare.
La volta che mi sono persa nella mia nuova città, e dopo qualche tempo ritrovata a dare le indicazioni stradali.
La prima volta a casa con una bimba.
La prima volta a casa con due bimbi.

Ogni primo giorno in un nuovo posto di lavoro, quando la mia attenzione cade su un dettaglio che mi sembra rilevante, e poi improvvisamente non lo noto più perchè fa parte della mia nuova vita, ma riesco a ricordare di averlo osservato come se fosse stata, allora, una cosa strana.
Il particolare odore di un corpo, o la curva che prende tra le scapole, che lo noti solo i primi tempi, e poi  diventa "casa" anch'esso. Ma questo è un discorso un po' diverso perchè, in questo caso, vorresti davvero recuperarlo quel momento in cui tutto era all'inizio, sconosciuto, misterioso, e per quanto nella familiarità ci sguazzi ogni tanto, solo ogni tanto, hai una profonda nostalgia del preludio.

L'ho già detto, io non sono un cuore impavido. Le prime volte mi terrorizzano, sempre, da sempre. Tendo a nuotare nelle acque che conosco finchè non diventa necessario affrontarne di nuove. Il nuovo mi fa paura.

Però in questo passaggio dallo sconosciuto al familiare, che avviene sistematicamente anche se non sai di preciso quando, ecco lì dentro ci dovrebbe essere la conferma che non c'è cosa nuova che ti debba spaventare, perchè è semplicemente una cosa che ancora non conosci. E che prima o poi ti sarà amica, sorella, casa. Ecco, io lo scrivo qui come se avessi imparato e archiviato la cosa come assodata, ma in realtà la teoria mi riesce molto meglio della pratica.



Poi magari un giorno parliamo anche delle cose che avrei voluto mi diventassero familiari e invece no.
Kleenex e antidepressivi, prima.

1 commento:

  1. avrei potuto scriverlo io, esatto esatto così. Grazie per aver messo nero su bianco, pixel dopo pixel, un mio stato d'animo! ti stimo sorella! :)

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