15 ottobre 2011

L'esclusione

Vado a prenderli all'asilo, raccolgo tutto quello che va portato a casa da lavare, tolgo i grembiulini, e sorrido scoprendo i nuovi meravigliosi accostamenti cromatici dell'abbigliamento di Lee. Mentre nel rumore generale cerco di farmi raccontare cos'hanno fatto, se hanno mangiato, se sono stati bene, e "tirati su da terra Roo", arriva N. - la migliore amica di Lee - per comunicarle con quel tono canzonatorio tipico dell'asilo (del resto l'età è quella e anche il posto è quello giusto) che "io vado a giocare a casa di G.".
Un tono di voce e una cantilena che a ruoli invertiti avrebbe usato anche Lee, pari pari.
Ho visto Lee guardarmi come per chiedermi andiamo anche noi.
No che non andiamo anche noi, per oggi si trovano loro.
E lì.
Dramma.

L'ho vista soffrire per il dolore dell'esclusione. Lo conosciamo tutti bene, siamo stati tutti da una parte e dall'altra. Ma se ho imparato nel tempo (non a cinque anni) a gestire il mio, di certo non ero pronta ad affrontare il suo. Perché quando l'ho vista così, sofferente, indifesa, esclusa, piccola, con le altre mamme che si fermavano a chiedermi cosa avesse tanto il dolore era palpabile, io meditavo feroci vendette a base di case bruciate e tagli di capelli notturni alle altre due e, già che ci siamo, relative madri, vorrai mica fare un lavoro incompleto...
Mi sono guardata bene dal comunicarle queste mie idee moderate, non volevo essere il generatore di sentimenti che lei ancora non conosce, non volevo insegnarle a provare qualcosa di spiacevole che lei spontaneamente non. Ho taciuto, l'ho abbracciata, ma dentro ribollivo.

Non ero pronta a vederla soffrire per questioni sociali. Di solito le lacrime sono per la caduta e il ginocchio sbucciato, per il fratello che le ha rotto un gioco, per la stanchezza, o perché non può mettere il prendisole visto che nevica.
Le sono stata vicina, l'ho coccolata, ho lasciato da parte quello che avrei dovuto fare barattandolo con uno di quei pomeriggi sdraiata per terra a giocare a turno con macchinine, cavallini, bambole, pennarelli.
Mi è sembrato si sentisse meglio.
Ne abbiamo parlato e lì ho capito la sua limpidezza, così pura, ingenua, bellissima, ancora incontaminata. Perché io credevo che lei volesse rendere pan per focaccia alle sue due amiche, invitando chiunque altro tranne loro, ma questo è un genere di ragionamento più grande, più mediato, inquinato da altri meccanismi sociali e antisociali.
A lei quello che interessava davvero era solo avere un'occasione. Non vuole avere accanto altre amiche. Vuole proprio quelle due che l'hanno esclusa e se oggi è andata così pazienza, vuole l'opportunità di viverle anche lei da vicino in modo eslcusivo.

Ecco, la teoria l'ho capita.
Quando mi passa la voglia di rasarle a zero le inviterò a casa.

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