1 febbraio 2011

Quando si dice musica underground

E anche oggi sono andata incontro al mio destino metropolitano che, sottoforma di paciarotta signora canterina, mi aspettava alla fermata di Loreto. Comincio a pensare di avere qualcosa di strano nello sguardo, qualcosa che comunica all'esterno che io possa essere vagamente interessata a quello che le persone, tutte nessuna esclusa, hanno da dire. Non è così.
La maggior parte dopo un'ora mi annoia a morte, e quelle che potrebbero interessarmi sono quelle che non parlano con me. Pane, denti, quella storia là.
La signora sale alla fermata dopo la mia, nel breve viaggio dalla mia partenza al suo arrivo faccio in tempo a estrarre un libro dalla borsa, e a fare mente locale su cosa stia succedendo ai protagonisti.
Ma arriva lei. Una donna sui cinquanta dallo sguardo dolce, e le mani cicciottelle che ti immagini bene ad impastare dolci.
È armata di amplificatore portatile e microfono, e alegria no es cosa buena per una che vuole leggere. Incrocia il mio sguardo e mi sorride: oh, io non riesco proprio a non ricambiare un sorriso, che ci posso fare? Ovviamente, incoraggiata, si mette proprio di fronte a me, ma io continuo imperterrita a tenere gli occhi sul libro.
Ci rinuncio alla centocinquantesima lettura della stessa frase, mentre lei sta già cantando una qualche canzone della sua terra. O almeno così mi sembra, non so, non capisco, e poi è troppo vicina, non sento bene.
Quello che sento chiaramente è un dolore lancinante alle articolazioni: i "calante" mi fanno questo effetto.
Li somatizzo.
Letteralmente.
Sempre stato così.
Il calante non è una stonatura vera e propria, o meglio non ce la fa ad essere neanche quello: come dire che la stecca è un colpo letale al cuore, il calante è una taglio sottile che ti dissangua un po' alla volta.
Lei provava a raggiungere una nota acuta ma arrivava appena un po' sotto, non tanto,  appena appena, e questa è una cosa che a me distrugge orecchie e nervi, non necessariamente in quest'ordine.
Però che ne so: la melodia era orientaleggiante, forse sono io che non capisco quel tipo di musica, vai a sapere.
Mi rimane il dubbio fino al pezzo successivo: Besame mucho. E' un pezzo che va fortissimo in metropolitana, violinisti, flautisti, anche qualche percussionista, ci provano tutti a farlo... Nel frattempo cercano tra gli avventori di distinguere le facce italiane, e nel caso le trovino accompagnano il tutto con una strizzatina d'occhio che starebbe a significare "ti faccio anche besame mucho, nota canzone italiana, cosa rompi le balle?".
No, la signora è decisamente calante, e oltretutto accompagna il tutto con una serie di voli pindarici vocali più vicini a un gargarismo che a giulianosangiorgi.
Fortunatamente finisce anche questo pezzo.
Se ne andrà no?
Vorrà mica passare tutto il viaggio a cantare davanti a me, giusto?
Sbagliato.
Attacca un nuovo pezzo. Musica dolce, ti viene voglia di ondeggiare, di abbracciare qualcuno.
Paese mio che stai sulla collina... Ricchi e Poveri. Per certi aspetti, emblematico.
Altro must dell'underground milanese, comunque. C'è tutto un mondo laggiù, ho visto cose che voi umani eccetera eccetera.
Insomma, rendere orientaleggiante Che sarà non è impresa semplice, ma la signora ce la mette tutta. Sarà stata la fame, la musica, i deliziosi effluvi da spogliatoio delle medie gentilmente offerti dalla scolaresca salita a Pasteur, ma la mia mente è volata a recuperare da qualche parte quell'atmosfera complice e amica che da ragazzi si prova solo in gita scolastica. Questo sottofondo è la perfetta canzone da pullman, quella che la cominci piano e poi fuori tutta la voce, insieme a un'avventura di battisti e piccolo grande amore, in uno di quei momenti rari e preziosi che ti sembra, tra un limone e l'altro sull'ultimo sedile in fondo, di voler bene a tutta la tua classe, compresa la Arienti che non ride mai.

Insomma per un attimo ho pensato a come sarebbe stato bello aiutarla a cantare la sua Che sarà. E come ogni volta che la vedo penso seriamente di strapparle il microfono di mano o quantomeno di cantare insieme a lei e aiutarla a raggiungere quegli acuti. Perchè in fondo cantare è un po' come andare in altalena: hai bisogno di qualcuno sull'altalena accanto alla tua che ti faccia vedere fino a che punto si può arrivare in alto, perchè tu riesca a darti altrettanta spinta e raggiungerlo.
Sono sempre più vicina al farlo davvero. E la cosa peggiore è che penso che sarebbe bello,  vorrei-cantare-insieme-a-voi-in-magica-armonia su quel treno come in una gita improvvisata, una di quelle cose che sarebbe bello raccontare. Ora valuto e ci organizzo un flash mob, dai.

Non è andata così, comunque.
Julie Andrews è scesa a Precotto e al suo posto è salita quella con la scabbia.

Si stava meglio quando si stava peggio.

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