15 aprile 2011

Parole soltanto parole parole tra noi

"Allora adesso vai giù in centralina, e mi riversi su trequarti sia la selezione di questo casting (allungandomi una cassettona da 4 chili netti) sia questo rubamatic. Serve per dare un'idea di come sarà il risultato (con la faccia "tocca puntualizzare l'ovvio"). Fai in fretta perchè tra un po' arriva il regista con il DOP, dobbiamo fare una riunione prima del PPM. Ti lascio anche questa rubrica, devi chiamare l'home economist e dargli conferma dell'orario, il visualizer che si deve muovere a produrre almeno lo storyboard, poi sulle indicazioni del regista comincerà ad abbozzare lo shootingboard (anche qui faccia da "ovvio", con leggera scrollata di testa). Abbiamo anche un problema di location che sta risolvendo il DdP, io intanto chiamo la buyer per i props e il Cliente (giuro che era pronunciato maiuscolo) che ci deve dare conferma delle presenze".

Questa cosa qui sopra è la trascrizione dei miei primi cinque minuti nel piccolo-spazio-pubblicità. E io stavo lì di fronte, senza capirci niente, e ogni tanto mi guardavo alle spalle come a chiedermi "non sta parlando con me, vero?".
Ogni ambiente ha il suo linguaggio.
Le parole servono anche per delimitare un mondo, tracciare un confine, escludere l'esterno alla comprensione dell'interno.
Quelle parole trasudavano esclusività. Come a dire, se non le capisci sei fuori.
Non è una cosa tipica solo di quel mondo, cioè ogni ambiente ha le sue, senza che questa cosa costitutisca in alcun modo una colpa o un giudizio di merito.
È semplicemente una costruzione naturale.
Io, anche attualmente, lavoro in un posto dove capisco la metà di quello che le persone si dicono tra loro, ma siccome sono persone belline le amo lo stesso, un po' come quando guardi dottor House e non sai niente dell'amiloidosi, ma ti appassiona la storia, stessa cosa, uguale.

Inutile dire che la prima volta che le ho sentite, quelle parole lì sopra, non le ho capite. Ero un punto di domanda con una donna intorno. E ho pianto, macheccentra.
Eppure solo a distanza di qualche mese le usavo anch'io con la stessa disinvoltura.
Ero dentro. Non è una vanteria, è una constatazione. Di fatto, affrontare la quotidianità capendo cosa ti dicono i tuoi colleghi rinnova la tua voglia di lavorare (e la tua possibilità di farlo, senza danni).

Costruzione sociale del linguaggio e costruzione linguistica di un contesto.

Ce ne sono infiniti esempi a tutti i livelli, da una storia d'amore alla famiglia alle mammefuoridallasilo, al parchetto, alle Amiche, ai nemici. Ogni contesto sociale ha il suo, e mi sorprende constatare l'elasticità con cui si passa dall'uno all'altro senza apparente difficoltà, come a passare attraverso le sette chiavi in cui si leggono gli spartiti di un'intera sinfonia.

Ogni relazione in fondo, se è ben costruita, ha il suo linguaggio esclusivo ed escludente.
Ci sono situazioni che non esistono che nelle parole che le creano.
Per questo motivo per me le parole contano molto.
Perchè la stessa parola se detta in un contesto o un altro può assumere significati diversissimi.
La trovo una cosa magica e bellissima.
Il setticlavio linguistico.

3 commenti:

  1. Aggiungiamo un link "mi piace"? ;^)

    Io odio le espressioni da brochure: mission, vision, out-sourcing, vendor, customer care, bisogna essere smart... Insomma tutta una serie di parole *vuote*.

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  2. Natalia Ginzburg: Lessico famigliare.
    Ogni famiglia ha il suo linguaggio, i suoi modi di dire, i suoi riferimenti impliciti a persone, situazioni e cose... Nella scuola ultimamente vanno molto di moda certe espressioni mutuate dal mondo aziendale: la mission, il problem solving, il target di riferimento, l'utenza.
    Naturalmente sottointendono una concezione di scuola che io aborro. La scuola non è un'azienda!

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  3. la copio e la mando al regista, al produttore, a ddp della Bedeschi e di The family.... ti adoro anzi va adesso ti telefono

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