20 luglio 2011

Metti un giorno al lago (ma il lago, di preciso, dov'è che era?)

E niente, c'è che io lavoro in questo posto che è molto carino. Sono abituata ad associare le fasi della mia vita più alle persone con cui mi mettono in contatto che alle cose che specificatamente faccio. Per questo motivo sono riuscita a tollerare cinque anni di liceo sbagliato, solo perché a farmi compagnia, testa contro testa, c'era la mia amica A. e con lei altre due amichette G. e S. che sono state la mia squadra per tutto il percorso, cameratismo al femminile, ginettismo all'ennesima potenza, che chicciammazzannoi.
E quindi anche adesso che la-vita-come-l'ho-decisa-io mi ha portato a scegliere di fare un lavoro che non è propriamente "nelle mie corde", mi trovo a valutarne costi-benefici unicamente sulla base delle persone con cui mi mette in contatto. E il bilancio, neanche a dirlo, è smaccatamente positivo.

E niente, c'è che un giorno i capi hanno deciso di portarci in gita. Sì lo so che si chiama "team building", ma il nostro team è già abbastanza built, o almeno così sembra, quindi chiamiamo le cose con il loro nome, in soldoni siamo andati in gita al lago.



Ovvio che di mezzo ci doveva stare anche una bella riunione-brainstorming-brief-salamadonnacosa in cui parlare di quello che va e quello che non va, ma se prendi un dieci trentenni-e-passa e li metti nella condizione di ricreare l'atmosfera da weekend universitario, con tanto di lista della spesa scritta tutti insieme e divisioni di letti, materassini e spazio vitale, e "quello che russa ve lo tenete voi", ecco, il risultato è che la riunione è importante ma quel che resta è ben altro.

Aspirazionale.



Ognuno dice la sua. E io ovviamente la mia. Come un paguro che tira fuori prima un occhio e poi l'altro, e poi le zampe e poi attacca a correre (immagine meravigliosa quella del paguro, dai), ho iniziato a guardare oltre a quel lavoro che va-benissimo-ma-che-non-è-nelle-mie-corde. E quindi si tirano fuori sogni e aspirazioni e speranze e progetti, nell'ottica e nella volontà di esserci ancora, di restare lì, di crescere, e di constatare se c'è spazio per farlo. Io lo spero, ma poi in fondo, quando penso che alla mattina prendo il treno canticchiando e vado al lavoro con un'andatura allegra e spensierata che se fossi una bimba dell'asilo ci saltellerei su (e non escludo di farlo un giorno o l'altro), mi dico che va bene così perché ad andare bene sono le persone che stanno su questa strada con me (tranne in sindrome premestruale, ma questo è un altro discorso, si sa).

Che sono belle prese singolarmente, ma che in gruppo diventano anche altro. Avanti, fuori i manuali di sociologia, lo dicono tutti che ogni forma di agglomerato sociale dà come risultato qualcosa che è molto più della mera somma dei suoi componenti.
E quindi.
Quindi noi.




Sotto un gazebo coperto dai kiwi, su un tavolo all'aperto, con davanti un prato verde che chi viene da Milano non ci crede che esista un verde così, tra un caffè, una caraffa d'acqua, un biscotto e un panino con la Nutella, a parlare di noi, del lavoro, e di cazzate. Il segreto sta nell'avere un mediatore di quelli che mordono il freno quando, molto spesso, la cazzata tende a prevalere sul resto.
Ma comunque.
C'è quella che "nella vita io voglio solo fare marmellate", quello che instagramma foto di piedi, quella che esplode miccette e ne ride tutte le volte come la prima volta, quello che vuole fare video e spiega il training autogeno,  quella che parla poco ma quello che dice arriva sempre al punto, quello che vuole di più, quello che vuol dire di no, quello che il feticcio trash anni '80, e quella che stranamente ascolta più che parlare, e ovviamente quello che tira le fila del discorso che se ci lasci andare ciao.

E poi la grigliata, le risate, l'anguria, e ancora le miccette, e l'"ultimate", e il lago dei pirla, e il sole sul prato, Jovanotti in macchina, e "ma quanto parlate, ma quando mai, mi è venuto mal di testa", e come usare Twitter, ed "excel spesso è sottovalutato", e prestami i tuoi occhiali da sole, e quand'è stata Chernobyl, e un sacco di altre cose.

Ecco, diciamo che per essere una gita al lago, il lago ha avuto un ruolo decisamente marginale.
Macheccentra.

10 commenti:

  1. decisamente un bel lavoro il tuo!
    non so che fai, ma solo per il fatto di aver trovato persone così...è un bel lavoro!
    (anche se non è proprio nelle tue corde!)

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  2. forse la mia ultima frase non si capisce bene...intendevo dire che non ti devi preoccupare del fatto che non sia un lavoro proprio adatto a te e che probabilmente avrai dovuto rinuciare ad altre ambizioni...è molto più importante e raro trovare ambienti così stimolanti!

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  3. Marta, lo so infatti. Da mamma a un certo punto ho dovuto fare delle scelte, non sempre facili.
    Però va bene così.
    Va bene a casa, e va bene al lavoro. Sono circondata da persone speciali, di cui un paio piuttosto basse e biondine. Grazie mille.

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  4. Io faccio un lavoro che non mi cala proprio. Però capisco di stare a contatto con le persone giuste quando esco dall'ufficio e rido da solo al pensiero della giornata trascorsa.

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  5. Il mio lavoro mi piace, i miei colleghi li prenderei a mazze da baseball.

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  6. @plus1gmt: un mio lavoro precedente era così (più i "capi" che i colleghi). Sono emigrato in continente.

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  7. io faccio una gran fatica a gestire le persone che mi ritrovo attorno.
    ed è molto dura. ogni giorno!

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  8. Marta e chi ha mai detto che non si faccia fatica?! Soprattutto le due persone basse e biondine sono piuttosto impegnative. ogni giorno. ma del quadro globale, al di là degli sforzi quotidiani, non posso che essere contenta, ecco.

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  9. faccio fatica perchè non ci sono riconoscimenti. lì sta la mia difficoltà, altrimenti è vero, in tutto si fatica, ma ciò che ti spinge ad andare avanti sono, una volta ogni tanto, le "pacche sulla spalla".

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