Nessuno dei nostri genitori sapeva di questi scambi di vestiti. Era vietato. "Hai un armadio pieno di roba tua, perchè devi chiedere i vestiti alla tua amica?" "Mpf. Che cosa vuoi capire, tu..."
Il 6 maggio 1994 era un venerdì. Venerdì a scuola facevamo sei ore. Nello zaino i panini per il pranzo, che "non passiamo neanche da casa, andiamo fuori dai cancelli subito". L'abbigliamento scrupolosamente definito, e relativi accessori (collane, braccialetti, trucco), riposava pulito nella borsa di ginnastica.
Ultima ora: tedesco.
A turno, quattro ginette chiedevano il permesso di andare in bagno ognuna con la sua bella borsa del cambio, e ritornavano in classe tra l'indifferenza della prof e gli altri compagni che le guardavano straniti. "Ma non avevi un'altra maglia?" "Ti sei truccata?" "Naaaa, fattifattituoi, zitto".
Tra di loro era tutto un autocompiacersi a suon di occhiolini, sorrisi e pollici alzati. L'autocompiacimento è la base di ogni forma di ginettismo, chè noisiamotroppounicheeirripetibili.
Neanche a dirlo, le mise scelte erano semplicemente assurde, e andavano da una maglia da giocatore di baseball (che portava A., ovviamente con uno stile che noi mai nella vita), a una canotta dei L.A. Lakers (io) del fratello di un'altra amica, a una maglia acrilica blu elettrico con un gigantesco sole davanti (G.) appartenente a non mi ricordo quale compagna di classe che del concerto non sapeva nulla, ad un improbabile total-white (S.) che sarebbe rimasto total e white per molto poco.
(continua)
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento