22 aprile 2012

Chester

E poi è successo che a sedici anni ho fatto una vacanza studio.
In Inghilterra, ché "l'inglese è importante e va imparato bene, e quindi no, non andrai come tante tue amiche in uno di quei college in cui finisci che parli solo italiano, no, tu vai in famiglia". E la mia amica A. ovviamente con me, in un'altra famiglia a trecento metri da dove stavo io, in Belvedere Drive - prometteva bene.
Chester più che una città per me fu un'esperienza. Lontana da casa, lontana dai miei genitori che per aggiungere chilometri a chilometri avevano deciso che nel frattempo sarebbero andati al mare in Sicilia, con quell'ottimismo di chi sa, o comunque spera fortissimo,  che andrà tutto bene.
Chester, io lontana, in un periodo in cui le comunicazioni non erano così semplici come ora, c'erano i telefoni fissi e gli orari a cui chiamare per essere sicuri di trovarsi in casa, e ci si chiamava poco ché la tariffa internazionale costa, e io ho quei genitori che quando parlano in una lingua straniera alzano inspiegabilmente il volume della voce, quindi li sentivo dal di fuori della cornetta di un improbabile telefono color verdeacqua, mentre aspettavo che mummy mi passasse mamma.
La casa, di quelle fatte di mattoncini, con la porta a vetri bianca, moquette ovunque, profumo di pot-pourri, una scala ripidissima che portava alle stanze, la cucina che dava su un giardino da non crederci, con una dispensa piena di marmellata di arance fatta in casa, il salottino per tè delle cinque, tavolini disseminati di cornicette d'argento piene di figli e nipoti lontani, racconti di fantasmi, ci ho passato un mese e mezzo e sono diventata grande. Anzi no, credo di essere diventata inglese, e non solo perchè sognavo in quella lingua lì - quella è la parte più facile, tempo due settimane e capita a chiunque - ma proprio per una forma mentis che per chi viene dalla provincia, e lo fa nell'età in cui tutto viene vissuto in stile "spugna", mi ha aperto i confini mentali, fatto capire tante cose e fatto improvvisamente fare spallucce di tante altre.
Ché a volte per trovarsi davvero bisogna allontanarsi dall'abitudine, dalle certezze e soprattutto dalle aspettative della vita di tutti i giorni, e trovare un posto dove poter dare un colpo di spugna a tutto quanto e ricominciare a scriversi ex novo, inventarsi, provare il lusso di poter essere veramente se stessi al netto di tutto quanto.
Chester, città della crescita, dell'affrontare faccia a faccia la mia alimentazione folle a base di aria, mele, tè e poco altro, presa per mano da una English mummy che considerava gli spaghetti qualcosa che si trova precotto in barattoli di latta e da infilare tra due fette di pane nero. Poi dici non mangi...
Chester, la prima volta che la lontananza fu un alibi per molte cose, la prima volta con una stanza tutta mia con una finestra immensa senza tapparella che si riempiva di cielo e di pensieri, in quel periodo incantato in cui mi potevo permettere di passare del tempo a guardare il soffitto e a pensare quei pensieri adolescenti fatti di confusione, pulsioni, nuvole, smalti per le unghie, aspirazioni e tramezzini.
Chester, le prime birrette, la prima volta che ho visto qualcuno picchiarsi davvero, la prima volta in cui una piccola voce dentro, dopo il turbinare della pre-adolescenza, mi ha detto "puoi farcela".
Camminavo per quelle strade affiancate da case che sembravano tutte e uguali e nello stesso tempo tutte diverse; non c'erano le macchine fotografiche digitali, metà dei cinque rullini da 36 erano pieni di foto di case che non ci credevo.
Non so se ho imparato bene l'inglese in quella vacanza. Di certo ho imparato tante cose di me stessa, di come avrei voluto essere, di sogni che prendevano una forma più definita, di voglia di fare-fare-fare, di fame di cibo e di vita in egual misura.
Chester è perfetta  nella costruzione della mia memoria, incantata, sospesa, legata a quell'esperienza rotonda e felice, al punto da avere paura di ritornarci e sovrapporre una nuova esperienza  - che ovviamente sarebbe diversa - a quella già fatta.
Quindi ne tengo le distanze per conservarne il sogno.
Ci sono così tanti posti da vedere, Chester resterà sempre dentro la bolla che fu quel viaggio.
Mi piace conservarla così.

2 commenti:

  1. quando sono andata a Chester, la prima impressione che ho avuto è che sembrasse quasi finta. Non so spiegarlo in altro modo.
    Poi mi lasciai letteralmente conquistare dalla cattedrale ed ora è una parte del mio cuore.
    Le vacanze studio... mai scordarle!

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  2. vacanza sudio per "imparare l'inglese" celo.
    Ad Oxford, rigorosamente in famiglia. una famiglia che cercava di ospitare più ragazze possibile (avranno avuto degli incentivi?)...minor spesa massima resa. Non ci filavano di striscio. ricordo la scala ripidissima e la mia valigia pesantissima. ricordo che un pomeriggio io e la mia compagna di viaggio siamo state aggredite (ovviamente senza aver fatto nulla) a suon di sassate da ragazzotti ubriachi fradici. ricordo le cene a base di patate al forno con la buccia. ed anch'io ero nel pieno della fissa soloduebisocottialgiorno e forse mezza mela. mi sono divertita come una pazza, ma ai miei genitori l'avevo messa giù un bel po' dura!

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