2 settembre 2011

Yes, indeed

''Non sono pronta all'ultimo anno di liceo. Non tanto perchè è un anno di scuola, ma perchè è l'ultimo".
Su una pagina di inizio settembre della mia Smemo di quell'anno, la mia amica A. scrisse questa frase. E in effetti, dopo di allora niente fu più come prima.
Ma eravamo giovani, con in testa un sacco di progetti e capelli al vento.
Quell'anno avremmo preso la patente, che voleva dire la possibilità di andare oltre i confini di quella provincia che ci stava così stretta.
Quell'anno andammo insieme a Roma dalla zia Esse, e riempimmo quei quattro giorni di dischi in vinile strani e conturbanti, pieni di fruscio e di quel suono corposo che i cd se lo scordano proprio.
Per motivi oscuri ci innamorammo di questa canzone, che da quel momento in poi sarebbe sempre stata associata a quel viaggio, a quella parentesi di "noi" che non si sarebbe mai più ripetuta, al ricordo di quei balletti da matte che accompagnavano la scelta fondamentale di cosa mettere per essere all'altezza della capitale, a registrare sul nastro di un piccolo registratore portatile le risate, le teorie, le canzoni, le parole che erano le nostre parole di quei giorni.
E poi al ritorno, a parlare con quel linguaggio nato a Roma, esclusive ed escludenti, nessuno avrebbe potuto capire, affacciarsi a comprendere quel mondo che avevamo creato a 600 km da casa.

E poi le lezioni di guida fatte insieme, cioè io patentata insegnavo a lei che non ancora (per dire...), nei grandi parcheggi dei supermercati chiusi, a sognare giorni in cui con quella macchina saremmo andate lontano, e avremmo visto posti, e conosciuto persone interessantissime, e tutti ovviamente si sarebbero innamorati di noi (chiaro), proprio ora che entrambe avevamo lasciato andare quella storia che era importante sì, ma se questo è ciò che chiamano amore che delusione - dev'esserci dell'altro, e quell'altro l'avremmo trovato quasi contemporaneamente da lì a poco, a parlare ore al telefono dopo che ci eravamo appena salutate, di come quella cosa ci lasciasse incredibilmente senza parole, fiato, pensieri chiari, e ma tu, e ma io, è una cosa immensa e mi fa paura.

E poi l'esame di maturità e la mia inconcludenza che già faceva capolino e mi indicava mille strade tra cui scegliere in nessuna delle quali avrei mai raggiunto l'eccellenza ma solo un grado di adeguatezza approssimativa - la mia specialità, quindi andavano tutte bene e nessuna in particolare.

L'università, poi. 
Strade diverse, scelte diverse, persone diverse, diverse forme di pensiero e di confronto.
Dove siamo finite noi che eravamo quel "noi"? Perse. Smarrite. Sospese. Lontane.
Eppure sempre noi, all'apparenza. Ma quando si è stati "sostanza", dell'apparenza te ne fai poco.

È che non si riesce mai a pensare che - quasi sicuramente - la persona di cui sentiamo così tanto la mancanza prova la stessa cosa nei nostri confronti. Che anche noi manchiamo nella misura in cui sentiamo il vuoto. Che il pugno allo stomaco quando pensiamo a quel passato condiviso non colpisce solo noi.

Infatti.
10 giugno 2004.
Giorno della morte di Ray Charles.
A. mi mandò un sms : "Yes, indeed. Roma. Noi. Ti penso".

A volte bastano cose piccolissime per riaprire mondi immensi.

1 commento:

  1. Ho le lacrime agli occhi. Ho letto gli ultimi tre post all'indietro, così ho iniziato col ridacchiare e ho finito col commuovermi. Se avessi rispettato l'ordine, non sarebbe stata la stessa cosa.
    Ho un'Amica così. Da quando avevamo sette anni. Abbiamo preso strade diverse che più diverse non si può. Ma poi ci sono quegli sms.

    Buon fine settimana!

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