18 febbraio 2011

Milano e La Lara

Guido verso Milano. La vedo già a distanza di chilometri. Se il cielo a Snobville è blu, il cielo a Milano è bianco con sfumature color albicocca, una nuvola densa e sporca fa da ombrello alla città.
Si capisce subito quando entri a Milano in auto.
Il ritmo della guida cambia, da disteso che era, con la mente che viaggia e il dialogo immaginario che prende il sopravvento, si fa nervoso, scattante, adrenalinico.
Il piede che ha riposato accanto alla frizione su tutta la superstrada, ora fa del lavoro extra, sempre a un millimetro dallo stacco, con il motore tenuto su di giri, pronto a scattare per prendersi quel metro di carreggiata, quello spazio, quel parcheggio. "Imporsi o soccombere" è la legge della strada milanese.
L'insulto che se ne stava lì a sonnecchiare in sottofondo, mai destato dal clima automobilistico della provincia, riaffiora in tutta la sua violenza e si stacca dalla punta della lingua per liberarsi nell'aria, finalmente possente, accompagnato da qualche gestaccio e da tutta il colorito turpiloquio che si porta dietro.

"Macheccaz@#"&%?0!&bruttost#@?"#".
Aaaaaaaah, sono a casa. Eccomi, sono tornata.

Io amo Milano.
Non dirò che è bella, anche se lo penso, ma io la amo. È stata la mia prima città, ed è stata la scenografia di una fase della mia vita che ha assunto tinte fortissime, a volte fluo. Mi è sembrato di vivere quel periodo senza pelle, coi nervi esposti, e gli organi interni a vista, qualsiasi cosa bella o brutta mi colpiva direttamente con una violenza che, dopo, mai più.

Milano è l'università vissuta in solitaria, è gli amori sbagliati dalla padella alla brace, è i primi lavori che solleticavano la vanità. Milano mille e più persone, quasi tutte perse, Milano il tram 3 di sera sui navigli, Milano i negozi di brera con delle scarpe che non possono esistere che lì, Milano i pullman che si chiamano al femminile (la 60, la 91) e i tram al maschile (il 12, il 29).

Milano è io che divento grande.

Milano per me ha il colore delle sere di primavera quando esci alle sette dall’ufficio e ti fermi per un aperitivo all’aperto prima di tornare a casa, io me la ricordo con quella luce lì, con il sole che fa fatica ad andare via, e i lampioni gialli che si accendono, e i bicchieri grandi da mohito, e le spalle scoperte, e si fa estate, e mi sento bella. Va. Tutto. Bene.

Milano è la mia prima casa con Lui.
Un casa che era un tugurio e che ha affrontato la ristrutturazione più radicale e visionaria e illuminata e folle e lungimirante che sia mai stata fatta. Non un centimetro quadrato di quegli ottantametriquadri è uscito indenne dal nostro passaggio. Ogni scelta è stata discussa, litigata, goduta, sofferta, amata, per dare vita a quella che per me resterà sempre la mia casa, sebbene degli oscuri atti notarili si ostinino ad affermare diversamente.
È stata la casa delle prime cene a base di molta fantasia e poco altro, degli amici che ti si piazzano sul divano blu con le ultime scottanti confessioni, dei pezzi di amiche raccolte dopo l'ultima storia finita male, e le raccogli perchè pochi mesi prima eri tu con il tuo cuore spezzato a fare visita al loro divano, la casa degli aperitivi sui tre gradini fuori dalla porta rossa, le sigarette fumate sul davanzale della finestra coi piedi nudi sul calorifero, i bicchieri di rosso, l'arco di mattoni ritrovato sotto la calce, le travi a vista, la doccia gialla e tonda, i vetromattoni, i colori da pazzi, il soppalco triangolare, il non-armadio, il camino che è rimasto solo un sogno.
È stata la casa del primo test di gravidanza positivo, quella degli ultimi esami all'università, quella di occhi negli occhi e pelle a pelle, che la mappa dei nei ah la mappa dei nei, teste sul cuscino, rientri ubriachi e ridenti. È stata la casa dove, più che in qualunque altro posto, io mi sia mai sentita a casa.
 Forse qualsiasi posto sarebbe stato "casa" se mi avesse visto vivere tutto questo, non lo so.
Resto una persona urbana, anche se ora non vivo più nell'urbe, e sono contenta che sia stata proprio Milano a vivermi così, coi suoi controviali, il porfido, e i tram vecchi, i suoi palazzi, il suo senso di potenziale da esprimere.

Giuro, se vinco il superenalotto me la ricompro, quella casa.

A questo proposito sarebbe quantomai utile giocare, ogni tanto.

3 commenti:

  1. ecco... sei riuscita a strapparmi il magone. Meraviglia.
    Biba

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  2. Ciao Lara, non ti conosco ma ho trovato il tuo link sul wall di Biba e, visto che parlavi di Milano, della mia Milano sono corsa a leggerti...
    Io come te: l'ho lasciata. Per fortuna per lavoro ci torno spesso e così cerco di sentirne meno la malinconia, ma a volte, non ci posso far nulla, si fa proprio struggente.E' il dolore della perdita.
    Perchè certe luci, certi colori, certe ATMosfere (scusa la scemenza!!) non si possono trovare da nessuna parte, se non dove ti senti a casa.

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