14 settembre 2011

6 maggio 1994 - finale

(le puntate precedenti: qui e qui)

Io penso positivo perchè son vivo.
Palazzetto in delirio, e c'era Saturnino e i suoi triplocarpiati, e c'era Centonze, e c'era un sacco di altra gente, e le luci, l'audio perfetto, e lui che ballava e saltava tutto il tempo. La folla spingeva ma noi non sentivamo più niente, troppo impegnate a cantare e a guardarci e a guardarlo e a vedere se ci guardava.
Non ricordo la tracklist.
Però ricordo che su Ragazzo Fortunato venne giù il palazzetto, così come su Io ti cercherò, Gente della notte, Chissà se stai dormendo ci fu un tripudio di accendini accesi e gente che dondolava e cantava e partecipava. Noi zitte neanche per un attimo. Le magliette ci si appiccicavano addosso per il sudore nostro, ma soprattutto altrui (non è un'immagine meravigliosa?).

Il nostro momento di gloria come ginette ci fu su Serenata Rap. Lui bellissimo, seduto con le sue gambe lunghe a penzoloni di fronte a noi, un mazzo di margherite in mano. Le allungò verso il pubblico, verso di noi quindi, e gli vennero letteralmente strappate di mano. Una riuscimmo ad afferrarla, e subito infilarla nello zaino. Ci saremmo spartite i petali in numero uguale subito dopo la fine del concerto, per plastificarli con lo scotch dietro al biglietto  (dovrei ancora averlo da qualche parte),  ginettismo allo stato puro anche nella produzione del feticcio amarcord.

Fu straordinario.
Vissuto con la violenza di quegli anni, il nostro primo concerto, e soprattutto il nostro unico concerto insieme, non lo avremmo mai dimenticato.
Alla fine, dopo i bis, i tris, il tripudio, gli applausi, noi che eravamo entrate per prime, ovviamente eravamo destinate ad uscire per ultime, ma andava bene: volevamo prolungare quell'emozione, volevamo stare lì ancora un po', perchè andare a casa significava che davvero era tutto finito e noi non eravamo pronte.
Vedemmo le tribune svuotarsi, e noi ancora lì, stavolta a dare le spalle al palco e a guardare intorno a noi la gente improvvisamente anonima, quella che prima era stata una creatura policefala, vibrante, un unico grande battito.
"Ma che fretta hanno?", ci chiedevamo, noi che da lì non riuscivamo a muoverci.
Il palazzetto era quasi vuoto, toccava proprio noi uscire ora. Ma prima, un cerchio, un girotondo di bambine cresciute, un ultimo abbraccio per dirsi grazie-grazie-grazie, che questo concerto sarebbe stato perfetto a prescindere perchè, in fondo, a contare davvero, non è quello che trovi sul palco, ma quello che ti porti da casa.

Però, a distanza di anni, io ancora non capisco una cosa: come mai la maglia blu elettrico della nostra compagna, indossata da G., e subito infilata in un sacchetto dopo il concerto (immaginate una maglia acrilica con addosso il sudore di minimo 10 persone e chiusa in un sacchetto di plastica per dodici ore quale delizioso effluvio riesce a produrre, ecco) ho dovuto lavarla io?

Misteri del ginettismo. Ma comunque.

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