16 aprile 2012

United States of Lara

C'è questa cosa che noi siamo la nostra storia, no? Siamo gli incontri che abbiamo fatto, gli sguardi che abbiamo incrociato, le persone che abbiamo amato, i posti in cui siamo stati, le sensazioni sulla pelle, i profumi che abbiamo sentito, e quel pane, ah-quel-pane, che non abbiamo più mangiato un pane così. Siamo fatti di tessere di un mosaico quante più sono le cose fatte, anzi più che fatte sentite, in costante evoluzione;  le tessere sono in movimento, quello che ieri ci sembrava superfluo può tornare fuori con prepotenza, assumere una posizione diversa sotto la luce e prendere un colore che prima non. È strano pensarsi come fatti di tanti pezzettini che però si muovono, tanti pixel che non trovano una posizione per definire i nostri bordi, ci sono solo poche tessere che tieni segrete, se ne stanno nel punto più interno di te, come l'armellina nel nocciolo dell'albicocca, ecco, ci sono quelle tessere che no, non sveli a nessuno - tante volte neanche a te stessa - e mentre tutte le altre si muovono intorno, spostandoti desideri e confini, resti comunque fedele a quelle che sono la tua vera essenza, se solo la conoscessi.
La primavera è un periodo strano, in cui nelle giornate di pioggia io melodramma-portami-via e nelle giornate di sole sono costruttiva, propositiva, oserei dire ottimista se non stessi parlando di me, e quindi prendo colori nuovi, e la voglia di incontrare delle persone di cui non ho mai sentito la voce anche se mi sembra che sì; le vorrei incontrare per sentirle parlare di loro e di me, per raccontarmi, per raccontare loro i miei colori nuovi e tutti quei pixel in movimento, per cercare di fermare tutto, di fare una foto in un momento - nel momento in cui loro mi guardano, click- e farmelo andare bene, così statico-definito-immobile, che so, addirittura per il giorno successivo. Assumere un colore solo, il colore di quel momento, e non il solito caleidoscopio pazzo che mi sento di essere in questi giorni.
Vorrei che i miei bordi prendessero forma nel loro descrivermi, ché a volte chi ti vede "da fuori" può arrivare a vederti più - boh - vera?, di chi, nel monumentale castello di aspettative e "take for granted" che sono le relazioni, da vicino può perdere di vista.
E mi rendo conto che agli occhi di ognuno assumerei un aspetto diverso, senza per questo essere mai incoerente con ciò che sono; sarebbero infinite fotografie di me, tutte vere, tutte sensate, tutte inevitabilmente parziali. Alcuni coglierebbero delle cose che altri non. Ma sarei sempre io - come tutti eh, sia chiaro - una somma di stati d'animo ed emozioni che spesso faccio fatica a rendere coerente, e mentre mi perdono anche questa dicendomi che "la coerenza è spesso sopravvalutata", mi accorgo che sono fatta di mille colori-pixel-tessere-laqualunque che andrebbero uniti sotto un unico grande stato: Lara.  Ma il federalismo emotivo richiede uno sforzo organizzativo che solo a pensarci mi viene da inventare scuse, quindi mi tengo i miei pixel svolazzanti, le mie tessere che mi cadono dalle tasche e devo fermarmi a raccoglierle tutte le volte, e vado avanti così sperando che la luce mi colpisca nel modo giusto.

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